La sua di fatto è un’arringa
contro la pena di morte. Di cui rileva l’incongruità nel caso specifico. Di una
rissa insorta per gli appellativi di “frocio”, oltre che di “cane italiano”,
che il greco morto per una coltellata e i suoi compagni avevano rivolto a Ricci
e a un altro italiano. Con la non premeditazione. In stato di ebbrezza. Ma, probabilmente,
serviva una condanna di quel tipo per dire al volgo che Corfù non era più “italiana”
ma greca, per recidere i legami semrpe forti tra le isole Jonie e l’Italia. I
dalmati, Tommaseo era dalmata, Ricci pure, erano destinati a brutta fine.
L’edizone Ivsla è a cura e con
note di Fabio Danielon. Con uno saggio di Tzortis Ikonomou. Iknomou è anche
autore di una saggio, per l’Accademia Roveretana degli Agati, sulle fortune (e
sfortune) di Tommaso nella letteratura greca, da greco d’elezione, collettore
dei canti popolari, con cinque anni di esilio a Corfù, dove anche si sposò: Niccolò Tommaseo dichiarò in più luoghi dei suoi scritti
il proprio affetto verso la nazione e la cultura greca, scrivendo pagine di
rara bellezza sulla storia, su scrittori antichi e moderni e sulla lingua,
pagine
che furono molto
apprezzate dai lettori greci e in Grecia anche a volte ripubblicate . Dimostra
sempre una conoscenza profonda della storia, della lingua e dei costumi di quel
paese, soprattutto nella raccolta dei «Canti popolari»…
Il nazionalismo,
ineliminabile, ha parecchie colpe.
Niccolò Tommaseo, Il supplizio di un italiano in Corfù,
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