Ai trent’anni voleva aprire un laboratorio, per l’attività
di ebanista di cui in qualche modo s’era impratichito, ma il Giudice glielo
impedì, i precedenti non lo consentono. Tentò allora di rientrare in possesso
dei beni ereditari, ma il Giudice glielo impedì, su sollecitazione di qualcun
altro. Era malinconico, era incerto, i
compagni lo chiamavano il Semplice, e non faceva bella figura in tribunale, al
momento di parlare le parole si assentavano. Poi trovò una bella ragazza, molto
fresca e molto giovane, se ne innamorò, e pensò di potere comunque ambire a un
po’ di felicità, ma il Giudice glielo impedì, non si convive senza regolare
matrimonio, un domicilio certo, un’attività remunerativa. Sempre qualcuno
protestava e sempre il Giudice gli dava ragione.
Già in precedenza c’era stato
qualche inconveniente: ai vent’anni lo avevano chiamato alla leva militare, lui
aveva obiettato per motivi di coscienza, ma il Giudice glielo aveva impedito,
facendolo rinchiudere in una prigione militare e condannare per diserzione,
benché ristretto. Qui non c’era da spiegarsi, era una questione di principio e
un fatto pratico, ma il Giudice gli aveva dato torto perché la Legge lo impone.
Era un Giudice Esterno,
contrariamente a quello che dice Kafka, che il Censore è interno. Un uomo in
carne e ossa, con cancelliere e commi, e gli sbirri che svogliati ne eseguivano
trucidamene gli ordini. Si assestava gli occhiali, non lo guardava nemmeno,
solo sembrava vedere le sue carte e una sua interna uggia, e gli precludeva
questo e quello.
Era già andato via di casa, era
ancora minorenne, aveva diciassette anni, ma con le idee chiare sulla vita e
il mondo, ai quali voleva dare un contributo entusiasta, operoso, e dai quali
si attendeva il paradiso di ritorno, e il Giudice glielo impedì. Poi vennero
gli anni turbolenti della rivolta giovanile e lui come altri aveva preso a
farsi idee esprimendole liberamente con
un giornale, finché il Giudice non glielo impedì.
Pensò allora di liberarsi del
Giudice, da cui in qualche modo si doveva nascondere. In tutti i modi che la
fantasia e il lungo tormento, giorno e notte, gli prospettarono, compreso
l’alibi di ferro che solo dissuade sbirri, giudici e avvocati. Ma al
risveglio, anche se era semplicemente l’avvento della luce sulla notte, decideva
di no. Perché non ci si libera della giustizia, e una persona modesta, perfino
inutile, non può ambire a nulla.
i trent’anni voleva aprire un
laboratorio, per l’attività di ebanista di cui in qualche modo s’era
impratichito, ma il Giudice glielo impedì, i precedenti non lo consentono.
Tentò allora di rientrare in possesso dei beni ereditari, ma il Giudice glielo
impedì, su sollecitazione di qualcun altro. Era malinconico, era incerto, i compagni lo chiamavano il Semplice, e
non faceva bella figura in tribunale, al momento di parlare le parole si
assentavano. Poi trovò una bella ragazza, molto fresca e molto giovane, se ne
innamorò, e pensò di potere comunque ambire a un po’ di felicità, ma il Giudice
glielo impedì, non si convive senza regolare matrimonio, un domicilio certo,
un’attività remunerativa. Sempre qualcuno protestava e sempre il Giudice gli
dava ragione.
Già in
precedenza c’era stato qualche inconveniente: ai vent’anni lo avevano chiamato
alla leva militare, lui aveva obiettato per motivi di coscienza, ma il Giudice
glielo aveva impedito, facendolo rinchiudere in una prigione militare e
condannare per diserzione, benché ristretto. Qui non c’era da spiegarsi, era
una questione di principio e un fatto pratico, ma il Giudice gli aveva dato
torto perché la Legge lo impone.
Era un
Giudice Esterno, contrariamente a quello che dice Kafka, che il Censore è
interno. Un uomo in carne e ossa, con cancelliere e commi, e gli sbirri che
svogliati ne eseguivano trucidamene gli ordini. Si assestava gli occhiali, non
lo guardava nemmeno, solo sembrava vedere le sue carte e una sua interna uggia,
e gli precludeva questo e quello.
Era già
andato via di casa, era ancora minorenne, aveva diciasset-te anni, ma con le
idee chiare sulla vita e il mondo, ai quali voleva dare un contributo
entusiasta, operoso, e dai quali si attendeva il paradiso di ritorno, e il
Giudice glielo impedì. Poi vennero gli anni turbolenti della rivolta giovanile
e lui come altri aveva preso a farsi idee esprimendole liberamente con un giornale, finché il
Giudice non glielo impedì.
Pensò allora
di liberarsi del Giudice, da cui in qualche modo si doveva nascondere. In tutti
i modi che la fantasia e il lungo tormento, giorno e notte, gli prospettarono,
compreso l’alibi di ferro che solo dis-suade sbirri, giudici e avvocati. Ma al
risveglio, anche se era semplice-mente l’avvento della luce sulla notte, decideva
di no. Perché non ci si libera della giustizia, e una persona modesta, perfino
inutile, non può ambire a nulla.
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