La stronzaggine Rovere rileva vasta
e diversificata. Ma soprattutto di due tipi. Quella pubblica, delle società di
servizi che “offrono” solo disservizi, e dello Stato che in tutte le articolazioni
s’impegna a renderci la vita impossibile. E, di più, quella di lui\lei nel rapporto
quotidiano, di coppia o di lavoro. Più insistente,
anche cattiva, la trattazione di quest’ultima: l’impressione è che Rovere, quarantenne “scrittore
e storico della filosofia”, già a Magistero a Lione, ora alla Pontificia
Università Cattolica di Rio de Janeiro, abbia di mira uno o più casi di quest’ultima
natura. A un certo punto è anche questione di una preside particolarmente
stronza. Ma più di chi vi raggira le carte in tavola, esercizio effettivamente distruttivo,
senza fondo.
Presentato, anche
graficamente, come un divertimento, tra lo scherzoso e il surreale. Come gli
altri testi canonici sulla stupidità, con “humour, benevolenza e saggezza”, e
come “una nuova etica per pensare e curare questo flagello del nostro tempo, malattia
del collettivo e veleno delle nostre vite”, procede come un’invettiva, sviluppato
da Rovere seriosamente, con cipiglio. Lo
spunto sardonico - ubuesco, rabelaisiano - non manca, ma sopraffatto dal
risentimento. Contro le varie tipologie di stronzaggine,
fino a “un con di sistema”, che Revere
vuole “chi non si preoccupa di coerenza, e che, invece di avere un sistema di
valori differente dal vostro, ciò che sarebbe interessante, ha per valore di
non avere alcuna logica, altrimenti detto di essere del tutto incoerente”.
Insomma un lui\lei nato per amareggiarvi la vita.
La parte centrale sottende
sottende esplicitamente un fatto personale: “Ai cons non gliene frega di voi. Non soltanto non hanno rispetto per
voi, ma soprattutto non vogliono tenere conto della vostra esistenza. Non vi considerano. Il loro più grande desiderio è di fare come
se voi non esisteste… Ai loro occhi siete nulli e non avvenuti… Questa esperienza, vissuta qui, sotto il mio proprio tetto, mi ha aperto, senza
esagerare, uno dei baratri più vertiginosi della mia vita”. Un solenne, ribadito,
ripetuto, ripetitivo, atto d’accusa. Una sorta di lavacro, liberatorio. Perché
non c’è altro rimedio possible: sì la diplomazia, sì la comprensione, sì l’ascolto
paziente della sua narrazione, la rappresentazione che ama di se stesso, ma il con non lascia scampo.Un risarcimento,
come di una persecuzione – “I cons
adorano colpevolizzare gli altri”. Senza reazione possible: “Quando fate la
morale a uno stronzo, gli parlate un dialetto che non comprende”.
“Sermone” è la parola più
ricorrente – la morale, la predica. “Il sermone è dello stronzo. Ma al fine di
indurvi a sermoneggiare pure voi.” Ma si va anche oltre il caso personale, il rapporto
di coppia. “Per non farne uno di se
stesso” è il sottotitolo. È per questo
un libello, feroce. Più che una disamina filosofica come di proposito: esaminare la stronzaggine in
quanto tale, fenomenica, fattuale, senza “intellettualizzarla”, nelle sue forme
pratiche, che si dicono “l’opinione, i
pregiudizi, l’orgoglio, la superstizione, l’intolleranza, le passioni, il
dogmatismo, il pedantismo, il nichilismo, etc.”
Le conclusioni sono
preliminari, in tre canoni: “Si è sempre il con”,
lo stupido, lo stronzo, “di qualcuno; le forme della stupidità sono in numero
infinito; il con principale si trova
in noi stessi” – quello cioè per cui la stronzaggine può fare presa. Si parte
con una messa in guardia.
La stupidità è contagiosa,
inevitabile, senza scampo: “Gli stronzi ci sommergono,” specie se “vogliamo
vivere lontano da loro”. Sono “come le sabbie mobili”: “Più vi dibattete per
sfuggire allo stupido-stronzo, più aiutate la nascita di uno di essi – in
voi”. Ma solo a distanza ravvicinata, sembra di capire: “La
stupidità non ha spettatori, solo complici”. E più di tutto, a questa distanza,
contro il\la lui\lei della coppia.
“Non lottate contro
l’emozione, svuotatela” è la difesa consigliata. Altrimenti “l’impotenza genera
il dovere”, e uno resta impiccato all’albero che ha cresciuto: “La postura
moralizzante di fronte agli stronzi riposa su un sermone implicito, che questo sermone comporta una
falsificazione, e questa falsificazione vi condanna all’insoddisfazione”.
Insulti o comprensione non portano a nulla.
Una “ricerca in etica interattiva”
è il proposito. A fini di prevenzione, contro l’avvitamento inevitabile: “Ogni connerie
genera una connerie reciproca” – la stronzaggine
è una provocazione. Uno studio sulla “postura moralizzante” dei rapporti personali.
Con poca aria. Specie nella conclusione, irritata, nervosa – da trauma non disinnescato
– in quattro tassativi capitoli: “Perché gli stronzi preferiscono distruggere”, “Perché
governano”, “Perché si moltiplicano”, “Perché vincono sempre”. Ogni titolo una
dozzina di pagine di ejaculazioni.
L’unica difesa è
asserragliarsi: il finale è un fuoco di
fila da assediato rassegnato. Rischioso. Perché tanto potere ai cons? “In effetti, noi non abbiamo senza ragione un desiderio teoricamente
perverso di sottomissione”. E guai a far ricorso alla morale: un suicidio. Ma accettare
l’assedio non è una sconfitta? Per di più professandosi superiori – che caduta
nella stronzaggine-stupidità. Insomma, non c’è rimedio.
Maxime Rovere, Que faire des cons?, Flammarion, pp.
204 € 12
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