Aleppo – “Aleppo, che fu Oriente e
oggi è soltanto decadenza”, era rovina già nel 1953. Tale la trovava Moravia, in
una corrispondenza per il “Corriere della sera” che “7” ripubblica. Effetto dell’etnocentrismo?
O non è ignoranza, è provincialismo. Moravia,che viaggiò molto, e di molti
mondi scrisse, non ne ha scritto nulla di memorabile, solo luoghi comuni.
Filisteo – In disuso in questo dopoguerra,
è concetto che ha accompagnato la cultura europea, specie tedesca, dal
romanticismo alla guerra di Hitler – in disuso ma non disfenomenico, anzi in
tutto collimante con le più contemporanee espressioni dell’opinione pubblica,
le chat, i social, i blog. Persona di studi, e anche di cultura, ma rigido, non
aggiornato, non disponibile. Misoneista in genere, ostile cioè al nuovo e al
diverso, gretto, retrivo, lo dice la Treccani. Sta per borghese torpido e
insieme pieno di sé, quello che ha sempre ragione anche se non sa di che.
Un termine emerso con la Restaurazione –
i repertori linguistici storici lo attestano attorno al 1830 - a opera dei
Brentano, Clemens e Bettina, e di von Arnim. Ma in senso restrittivo, per chi
“non aveva scuole”. Dal Philister del gergo goliardico tedesco,
per chi non aveva studi universitari – essendo già allora l’ordinamento degli
studi in Germania compartimentato, tra chi, alla fine della scuola
dell’obbligo, proseguiva col ginnasio-liceo, e quindi con l’università, e chi
invece andava a un mestiere, seppure supportato da un diploma, di scuola tecnica-commerciale.
Oggetto – bersaglio – di molto Nietzsche furioso, dopo esserlo stato dei
teorici del romanticismo. Nelle “Inattuali” e un po’ ovunque.
Nella prima
“Inattuale”, non spiegandosi il trionfalismo culturale per la vittoria sulla
Francia, Nietzsche lamenta: “Com’è possibile che fra le persone colte di Germania regni
la più grande contentezza, una contentezza che, dall’ultima guerra in poi, si
mostra addirittura costantemente pronta e prorompere in un costante tripudio e
a trasformarsi in trionfo?... Che genere di uomini dev’essere giunto a dominare
in Germania…? Questo genere di uomini, voglio chiamarli per nome, sono i filistei colti”. Una figura di cui contesta “la potenza da supremo giudice” del paese.
Anche Hofmannstahl successivamente se ne
lamenterà, segnatamente in una conferenza tenuta a Monaco nel 1926.
All’università, ma come fulcro di un evento politico di larga eco. Lamentando
con Nietzsche la sopravvenienza, a pochi anni dalla guerra perduta del 1914-18, di “tutto
ciò che è sazio, fiacco, debole, ma, nella sua fiacchezza, tracotante e
contento di sé: il filisteo colto tedesco”. Indignato che “un tale
atteggiamento di tracotante sazietà dello spirito abbia potuto guadagnare
terreno tra la maggioranza di quella grande tragica nazione”.
Film – “È qualcosa di molto simile a un
sogno”, L. Wittgenstein, che ne andava pazzo, “Movimenti del pensiero”, 25: dei
sogni alla Freud.
Italia tedesca – Nonché vilipenderla e
vilificarla - su tutti Thomas Mann – la Germania letteraria più frequentemente
vuole annettersi l’Italia. Sullo sfondo di Carlo Magno, degli Ottone, del
Barbarossa e di Federico II di Svevia. Studi seri vogliono Dante tedesco, o
comunque longobardo. E prima ancora vogliono tedesca la Scuola siciliana,
l’isola essendo all’origine della poesia italiana, per l’influsso e l’opera di
Federico II, il “secondo vento di soave” di Dante, di Svevia cioè o Germania, a Palermo. Altri studi vogliono il toscano
una dialettizzazione del tedesco e non del latino, per via delle aspirate – ma allora,
più propriamente, sarebbe tedesco il fiorentino. Perché sono “tedesche” pure
parole chiave come “casa”.
Malaparte, che era tedesco, si voleva
invece arcitaliano. Anche Goethe giovane si sarebbe voluto romano.
Leggere –“Leggere assorda la mia
anima”, L. Wittgenstein, “Movimenti del pensiero”, 40.
Lutero
– “Lutero non era protestante”, L.Wittgenstein, id. 42.
Manzoni
– Un realista. Ai “Promessi sposi” Hugo von Hofmannstahl nel 1927,
nella prefazione alla riedizione tedesca del romanzo per il centenario,
attribuisce un ruolo di ponte, o comunque intermedio, tra la “socievolezza” del
mondo francese delle idee e l’anarchismo speculativo tedesco, trovandoci un
fondo di giusto realismo. Nelle parole di Elena Raponi, la germanista, nel
commento a “L’opera come spazio spirituale della nazione” dello stesso
Hofmannstah, 1926: “Tra l’atteggiamento scettico e secolare dei Francesi da un
lato, e l’ansia di interiorità e la tensione metafisica dei Tedeschi
dall’altro, Hofmmanstahl sembra suggerire l’esistenza di una terza via, la
possibilità di armonizzare e conciliare superficie e profondità, percezione del
reale e istanza metafisica… Che egli avrebbe di lì a poco identificato in
un’opera precisa della letteratura europea, «I Promessi Sposi» del Manzoni”. Al
romanzo, notava Hofmmanstahl, i francesi avrebbero potuto obiettare la mancanza
di pointe, i tedeschi di sentimenti
intensi, “ma sotto questa ingenuità e quest’aria quasi quotidiana c’è una
profondità molto grande e vera passione… Tutto è pieno di realtà,… in ogni
impulso c’è una coscienza dei confini (come limiti non sociali, ma come posti
da Dio), persino una gioia dei confini – ma intanto è in ogni attimo possibile
un salto dei confini e un precipitare impetuoso verso l’infinito, addirittura
verso Dio”.
In questi termini si può
dire che Manzoni ha orientato tutta la narrativa italiana. Compresa quella
apparentemente avulsa e singolare di Pirandello.
.
Mare
Africano – È in Pirandello, “Taccuino di Harvard”, appunti degli anni a cavaliere
del 1900, il mare di Agrigento, oggi Canale di Sicilia - quello percorso dagli scafisti
libici, fino a Lampedusa. Non tranquillo: i suoni del Mare Africano Pirandello
registra come “mormorio”, “borbogliar”, “fragoreggiar”.
Remake
– Non fa buoni film. Il genere si è moltiplicato, è un’industria,
con i produttori indipendenti, e con le reti audiovisive, Hbo, Sky, Amazon, Netflix,
per l’abbattimento dei costi in videoripresa, mentre si capitalizza sul titolo
e sul precedente. Ma l’industria del remake è poco gradevole,
quasi sempre deludente. Equivale alla copia che usava delle arti classiche, dei
marmi, delle pitture. Magari oneste, ma non un altro originale. Il remake è invece dell’epoca dei multipli,
dell’“oggetto d’arte”, dell’arte seriale. Cioè dell’artigiano, anche buono e
ottimo. Ma della fine dell’estetica.
Selfie – “Niente mi sembra danneggi per sempre il ricordo di
un uomo più dell’autocompiacimento. Anche quando si presenta nelle vesti della
modestia”, Ludwig Wittgenstein, “Movimenti del pensiero”, 39.
Ulisse – Immortalato da Omero e
Dante, eroe modello della contemporaneità – di Joyce, e poi di Kavafis e Pavese,
nonché di tutti i viaggiatori, sia pure in crociera - era un figuro, un intrigante
truffaldino, un brutto ceffo, per di più assetato di sangue, una specie di
Brusca, che fa uccidere i bambini come Astianatte, per chi ne scriveva nell’Atene
classica, Pindaro, Sofocle, Euripide.
Due le odi di Pindaro, le “Nemee” VIII e IX, in cui Ulisse è preso a partito
per il la contesa con Aiace. Nella “Nemea VIII” quale “principe di parole
ingannevoli, ideatore di astuzie, insinuatore di subdole menzogne, sempre
pronto ad aggredire gli uomini nobili e a esaltare quelli infami”. Rigettato da
Socrate, che lo configura perno e ispiratore dei sofisti. Sofocle e Eschilo lo
dicono “seme di Sisifo”, il Brusca del mito. È bugiardo e “tragediaturi” per
Sofocle, nel “Filottete”. Euripide, che su Ulisse aveva dedicato una perduta tragedia, “Sisìfo”, lo fa carnefice di piccoli e indifesi, Astianatte, Ifigenia e le
donne in genere, in più opere, “Troiane”, “Ecuba”, “Elena”. La commedia lo faceva crapulone. Una commedia di cui resta il
titolo lo vuole anche disertore , “Odisseo disertore".
Era anche un vile: si finse
pazzo per non andare alla guerra di Troia. Il giovane Palamede, figlio di
Nauplio, uno ingegnoso, lo scoprì, e allora Ulisse si vendicò mandandolo a
morte con una falsa accusa: nascose nella sua tenda una lettera suppostamente
scritta da Priamo, il re di Troia, e un piccola quantità d’oro, e lo fece
accusare di tradimento e giustiziare. A Ecuba, nelle “Troiane”, che a sorte
andrà schiava di Odisseo, Euripide fa lamentare: “”Ahimé\, ad un uomo
abominevole, infido ho avuto in sorte\ di essere schiava,\ avverso alla
giustizia,\ mostro che viola la legge”, dalla “duplice lingua”.
“Ulisse il Cretese”, quale lo
delinea l’insigne specialista francese di Creta e la scrittura unilineare, Paul
Faure, evoca irresistibile il paradosso
del mentitore: “Un cretese dice: tutti i cretesi sono bugiardi”.
Sempre nelle “Troiane” è Ulisse
che convince i maggiorenti Achei a trucidare anche Astianatte, il bambino figlio
di Andromaca e Ettore, per “sterminare la stirpe”.
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