Biblioteche – Dibdin ne inquadra il (non)
funzionamento trent’anni fa, in “Nido di topi”, pp. 263-4 - la biblioteca è la
Comunale di Perugia. Per entrare alla biblioteca bisogna essere registrati. La
biblioteca è “piena di addetti”, ma alla
sala periodici, al secondo piano, c’è solo una bibliotecaria, che fa la maglia.
“Riempia il modulo di richiesta”, risponde senza alzare il capo. Ma non si
vedono moduli in giro. Finché “uno degli altri frequentatori” spiega all’intruso
che si trovano nel corridoio del piano superiore. “E la collocazione”, chiede
la bibliotecaria quando l’intruso ritorna con i moduli. “Non so che collocazione
abbiano”. “La guardi”. “Non lo può fare lei?” “Riempire i moduli non è il mio
compito. Deve guardare nello schedario”. Lo schedario è nel sottosuolo, spiega il
frequentatore benevolo. Ci vogliono venti muniti per localizzare la sezione relativa
ai periodici da consultare. I quali hanno collocazione diversa per ogni mese.
Quindi vanno riempiti sei moduli diversi. E tornare al terzo piano e ricopiare
nome, indirizzo, professione e motivo della richiesta per altre sei volte.
Quando al richiesta è pronta, la bibliotecaria bietta: “Non si possono
presentare più di tre moduli alla volta”.
Sembra una caricatura, ma è il
funzionamento di una biblioteca. Lo è ancora di molte biblioteche -, a parte la
calza, che nessuno sa più fare, nemmeno quella.
Generazioni – “Nel Quattrocento, in
Italia, si verificò un fenomeno ancora oggi in parte inspiegabile:
un’esplosione di genialità. Leonardo il più grande”, Adriano Monti Buzzetti
Colella, “FocusStoria”: “Un ruolo chiave ebbe la peste del scolo prima: dimezzò
la popolazione, favorendo il rinnovamento generazionale”. E ora, col governo di
trentenni in carica?
Giornale – Era altra cosa un secolo
fa: “Un giornale è quel pane dello spirito, ancora caldo e umido, della stampa
recente e della nebbia del mattino in cui viene distribuito, sin dall’aurora,
pane miracoloso, moltiplicabile, che è
insieme uno e diecimila e rimane lo sesso per ciascuno pur penetrando insieme,
innumerabile, in tutte le case”, M. Proust, “Alla ricerca del tempo perduto”, ed
Einaudi vol IV, p.183. Prosaico, ma ben detto.
Manzoni – Si apprezza, lo apprezzava
Gadda per esempio, quale personaggio (conversazioni, corrispondenza, saggi,
amici, rapporto con la madre, non rapporto cn le figlie, tiepido patriottismo,
bizzarrie, humour, la fissa con l’italiano, paesano-cosmopolita, nobile
contadino, mai la via di mezzo dell’italiano medio in fieri, il parlato, lo
scritto e il vissuto….) non manzoniano. O allora, nel romanzo, delle sole storie
convincenti, “vere”: lo spagnolismo a Milano, la monaca, la colonna infame. Non
quello del romanzo, o degli inni, o delle tragedie. È scrittore “distante”,
poeta-narratore dell’esterno.
Messina – Nietzsche a Messina, dove
arrivò stremato dal mal di mare, sbarcato in barella da un mercantile a vela di
cui era il solo passeggero, proveniente da Genova, doveva passarci la vita o
almeno un anno, ma resistette solo pochi giorni, tre settimane esatte, dal 30
marzo al 21 aprile 1982. Bastanti per comporre “Gli idilli di Messina”, ma non
di più. Se ne allontanò avvilito dallo scirocco – qualche settimana dopo, l’8 maggio,
da Locarno scriverà a Rée: “Ancora scirocco intorno a me, il mio grande amico,
anche in senso metaforico; ma alla fine penso sempre: senza lo scirocco sarei a
Messina”? Ardeva di raggiungere a Roma Lou Salomé, dopo averla sfuggita – “con
questo passo ha turbato soprattutto la giovane russa, stupita e addolorata”,
gli scrive l’amico Paul Rée a Messina? E perché non per il fallito incontro con
Wagner, una possibile riappacificazione “casuale”, nel segno del destino?
Pochi mesi prima della morte, nell’inverno
1881-1882, Wagner aveva risieduto a Palermo, con Cosima e le figlie, mentre
componeva il “Parsifal” - una cui prima stesura avrebbe debuttato a Bayreuth in
estate. Finito il soggiorno, passò da Messina, negli stessi giorni in cui c’era
Nietzsche. Arrivò l’11 aprile, preceduto da un annuncio sulla “Gazzetta di Messina”.
Ci passò due notti. Passeggiò per la città, visitando il Duomo. Mentre Cosima e
le figlie visitavano il monastero di san Gregorio per il polittico di Antonello
– secondo Paul Rée “la seconda figlia (Blandine?) si sarebbe fidanzata con un conte
siciliano”.. Che faceva Nietzsche in quei giorni, nell’albergo in piazza Duomo
dove era sceso, dove sicuramente ci sarà stata eccitazione per la visita del
compositore molto illustre. Non si sa. Ma dieci giorni dopo lasciò la “città
del destino”.
Curioso è anche che la guida alla Sicilia
del console tedesco a Messina, August Scheneegans, che onorò Wagner al
passaggio, faccia posto, luogo per luogo, alle citazioni o altre forme di
interesse di autori tedeschi, e per Messina si limiti a citare Goethe (“Nausicaa”
nel “Viaggio in Italia”) e Schiller (“La sposa di Messina”), ma non l’autore
degli “Idilli”, che pure era stato in città nel suo consolato. Messina non era
la città del destino, Nietzsche stesso lo confessa alla partenza. Scrivendo a Gast ai
primi di marzo lo spiega: Nausicaa mi attira, “un idillio con le danze e tutto
lo splendore meridionale di quelli che vivono al mare”, ma “alla fine del mese
vado alla fine del mondo: se lei sapesse dov’è!”.
Plagio - Il fascino della poesia è
nell’eco, attesta Petrarca nel “Viaggio in
Terrasanta”:
“Noi sappiamo molte cose che in nessun luogo abbiamo vedute e ignoriamo molte
cose che abbiamo vedute”.
Sommerso
a lungo dal concetto giuridico di plagio (il manzoniano “uno, il quale compera
biancheria usata, leva il segno dell’antico padrone e ci mette il suo”), in
coincidenza con l’affermarsi del copyright (altrettanto materiale che
l’economia dell’usato), e da quello romantico dell’originalità dell’artista,
il criterio del giovane senese torna nella critica. La scuola etnografica ha
fatto emergere i “prestiti immemorabili” di A.N. Veselovskij: “Se in diversi
ambiti incontriamo una formula con l’identica, casuale, consequenzialità
logica, del tipo v (a-w1, v2) etc., questa somiglianza
non può assolutamente essere sostituita da un’analogia dei processi chimici:
se di quelle v ce ne saranno 12, secondo il calcolo di Jacobs (“Folklore”,
III, 76), la probabilità che si tratti di una struttura autonoma sarà di
1.479.001.599, e noi avremo tutto il diritto di parlare di un prestito”. Claude
Lévi-Strauss concorda, confrontato dopo una vita di importanti scoperte da
insulse ripetizioni: “Il prestito potrebbe significare che esiste una mitologia
universale”. Soccorre anche la teoria dei cicli: le opinioni, secondo Thomas
Browne, “si reincarnano dopo certe rivoluzioni”.
Possibilità
infinite apre l’irriverente Sklovski, “Teoria della prosa”:
“L’opera d’arte viene percepita sullo sfondo e per mezzo dell’associazione
mentale con altre opere d’arte. Non soltanto la parodia, ma ogni opera d’arte
in genere è costruita in parallelo o in contraddizione a un qualche modello”.
Intravvedendo forse questi sviluppi, Daniello Bartoli, specialista doppio, in
quanto retore e gesuita, si apprestava a porre il “ladroneccio” nell’Abc dello
scrittore: “La prima maniera di rubar con lode è di imitar con giudizio”.
Bartoli si confortava con il cavalier Marino, il quale, pur lamentando con il
famoso poeta bolognese Claudio Achillini “certe arpiette dall’ugne uncinate”,
difende l’uso degli scritti altrui: “Le cose belle son poche e tutti gl’intelletti
acuti corrono dietro alla traccia del meglio, onde non è meraviglia se talora
s’abbattono nel medesimo”. Ma Erasmo l’aveva già messo in chiaro: “Noi
restauriamo cose antiche, non produciamo cose nuove”, riportando la cultura al
restauro, o alla restaurazione — se non alla ristorazione, commercio di commestibili,
che tanto deve all’arte del saper dire. Si può anche sostenere che non facciamo
che citarci reciprocamente. E per capire ci vuole gusto. Senza contare, diceva
Borges, che per rifare “Don Chisciotte”
bisognerebbe riscriverlo parola per parola. E ancora. Wittgenstein prende una
scorciatoia: “Non cito fonti perché mi è indifferente se già altri, prima di
me, ha pensato ciò che io ho pensato”.
letterautore@antiit.eu
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