giovedì 16 maggio 2019

Lisistrata si sacrifica contro la guerra

Con Aristofane si ride, in allegria, anche sboccata, e “Lisistrata” è considerata il massimo della risata grassa: lo sciopero delle donne “che non la danno”.  A Siracusa Elisabetta Pozzi e Tullio  Solenghi propongono invece un Aristofane semiserio, che lo sciopero delle donne muove non goliardicamente ma su un fondo e con sensibilità politica: un manifesto contro la guerra. Le donne non vogliono avere rapporti perché non vogliono fare figli, che poi andranno alla guerra.
Lisistrata convoca in Atene le donne di tutte le città coinvolte nella guerra del Peloponneso, comprese le spartane arcinemiche. E insieme non si mettono a “mostrarla”, ma occupano l’Acropoli, il posto del potere, e sottraggono il tesoro della Lega attica, cioè il finanziamento della guerra. Uno sviluppo più ovvio che sorprendente: Aristotele ha trent’anni e avrà visto molti coetanei finiti in guerra, se lui stesso non ha rischiato.
Riletto in questa ottica in effetti è un Aristofane senza lati oscuri, convincente sempre. Si ride, ma per un motivo non scurrile. È più come fregare i signori della guerra che non gli uomini, i mariti, i compagni occasionali. Sullo stesso tema una commedia all men li vedrebbe intenti al sabotaggio, contro un’arma decisiva, magari con un’altra arma decisiva. Qui invece il rovesciamento è radicale, senza timori né tremori, senza suspense: niente più figli per la guerra.
In effetti, se le donne non fanno l’amore non fanno più figli, e allora chi fa la guerra? Sempre nel presupposto che siano gli uomini  a fare la guerra – e i mafiosi, i killer, gli uxoricidi, i pedofili, eccetera. In “Lisistrata” questo non c’è, Aristofane non è un femminista, né un maschio in disarmo. E comunque non considera il piacere un fatto maschile, come vuole il neo beghinismo – non priva le donne del piacere. Ma disinnesca la fabbrica delle guerre, una provocazione radicale.

Riletto oggi, nel mentre che lo “sciopero della f…” è materia di attricette del #metoo, la solita americanata, Aristofane un po’ accascia. Vivere nel 2019, invece che nell’Atene del V secolo a.C., per quale colpa, che male uno ha fatto? Peggio: il progresso è una melassa, non è lineare – non è una freccia, non è nemmeno una marcia avanti.
Aristofane, Lisistrata

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