lunedì 20 maggio 2019

L’Italia ignorante

Lo studio di Pagnoncelli sull’“Italia ignorante”, anzi stupida, è stato criticato da questo sito venerdì come incompleto. Nella parte fondamentale: chi è il sarto, che taglia l’abito di questa Italia fuori misura? Meglio ancora: chi è il maestro di questa “classe” di ignoranti? Sottolineando il ruolo mancato o fuorviante dei media, che sono poi i veicoli dell’opinione pubblica: televisione, giornali, sondaggi, libri, che indirizzano l’opinione fingendo di esprimerla -  “obiettivamente”: ipocrisia solo italiana, ma indistruttibile.
Una semplice mancanza si potrebbe aggiungere che rileva e sconquassa la buona opinione che Pagnoncelli e i media danno di se stessi: l’assenza di ogni criterio di giudizio, che non sia pregiudizio. Media che hanno dato un contributo sostanziale, continuano a darlo, allo squartamento, al disossamento, dell’Italia. Con la lotta alla corruzione nel nome di più corrotti – affaristi, giudici. Alla casta nel nome degli intoccabili – giornalisti, giudici. Alla libertà d’opinione nel nome  dell’antifascismo. Perfino all’antimafia, non si può dire nel nome della mafia ma praticamente sì.
Fanno la morale, pontefici della pubblica opinione, personaggi che hanno mandato un avviso di garanzia falso a Berlusconi alla vigilia di un impegno internazionale.  E poi mille, o duemila, plotoni della Guardia di Finanza, a giorni alterni, a perquisirlo. Difendere Berlusconi è difficile, ma l’Italia che lo avversa è migliore? Berlusconi è stato solo un falso scopo, come si dice in artiglieria: puntare un obiettivo per tirare altrove, sull’opinione pubblica., sul voto degli italiani.
Il falso scopo
Siamo vissuti per venticinque e passa anni, trenta ormai, nell’inganno. A opera di chi? Dei “migliori” giornali e giornalisti, e dei migliori giudici: della migliore opinione pubblica. Di chi è la colpa?   
Pagnoncelli forse non ricorda, ma non ci vuole molta memoria. Tutto è cominciato con l’avvento di Mani Pulite, che ha segnato il passaggio dell’Italia sotto la ferula di Milano, i suoi affarucci, al coperto dei suoi editori. A opera di giudici fascisti, o picisti, o corrotti, non ce n’era uno buono – ce n’era uno perfino dei servizi segreti. Sotto la guida di un andreottiano. Uno, il più invadente e milanesizzato di tutti, aveva appartamenti in comodato in centro città dalle banche per i suoi cari. E si era fatto “prestare” cento milioni da un indagato che aveva mandato in prigione – al quale li aveva  restituiti, diceva, in biglietti, in una scatola da scarpe. Una banda che decretò colpevoli di corruzione solo i socialisti, i liberali e i repubblicani, con la Dc non andreottiana.
Si dice una giustizia politica ma è farle un complimento, anche se la giustizia politica è il vero fascismo. È una giustizia corrotta, anche nel senso proprio: dei soldi, delle carriere, dei posti.
Non c’è stata più verità da allora. Ma che colpa ne ha l’Italia?

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