mercoledì 22 maggio 2019

Non si ride se non c’è la guerra

L’allineamento, la simultaneità, il passo, la cadenza, tutte le sottigliezze dell’“addestramento formale”, delle giornate di noia della vita in caserma, a marciare avanti e indietro, quando fare i “dieci giri di campo!” in punizione erano un sollievo la mattina alla sette, specie con l’ora solare, per prepararsi a niente. Anche se dietro l’angolo c’è la morte. Dopo avere ucciso magari non si a chi e non si sa quanti. Tutte le stupidaggini della vecchia naja ci sono. Che assillano uno squadrone di piloti e navigatori, a rischio ogni pochi giorni, le missioni si moltiplicano, della pelle nei bombardamenti, Contro un’agguerrita antiaerea tedesca, da Roma a Bologna. In un’isola di Pianosa, trasformata in base aerea americana per la riconquista dell’Italia nel 1944, singolarmente affascinante. Ma non si ride. Non come il precedente del 1970, di Mike Nichols.
Ben fatto, anzi meglio fatto, ma non si ride. L’antimilitarismo si è dileguato forse con la naja, che mezza Italia non ha vissuto, e chi l’ha vissuta l’ha rimossa. Forse ci volevano interpreti-personaggio, riconoscibili – Nichols disponeva di Martin Balsam, Art Garfukel, Alan Arkin, Paula Prentiss, la stessa Olimpia Carlisi, Orson Welles, Jon Voight, Anthony Perkins, Martin Sheen.
O forse, più probabilmente, perché il tempo è alla crisi, ma di tipo ipocondriaco, di gentile mania depressiva, senza più il ricordo, e quindi il timore, della guerra. Forse per gustare i film contro la guerra, contro la burocrazia militare e gli imboscamenti, bisogna avere presente o temere una guerra reale, coi corpi spiaccicati. I capolavori del genere sono del decennio 1960-1970, da Tutti a casa” al “Catch-22” di Nichols – il ’70 è anche l’anno di Altman, “Mash”, Elliott Gould, Robert Duvall, Donald Sutherland.
George Clooney, Catch-22, Sky

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