martedì 28 maggio 2019

Rinnovare il liceo classico, tornare all’antico

Un programma di lavoro e quasi una consulenza, per il mantenimento delle lingue classiche nei licei.  Con la consueta verve, ma con seriosità, il classicista di Siena espone le ragioni per cui è utile mantenerne l’insegnamento. Le ragioni sono quelle programmatiche dell’ opera, che la quarta di copertina sintetizza.
“Sempre piú spesso a chi si occupa di discipline umanistiche – e soprattutto classiche – viene chiesto: «A che cosa serve?» Dietro questa domanda agisce una rete di metafore economiche usate per rappresentare la sfera della cultura («giacimenti culturali», «offerta formativa», «spendibilità dei saperi», «crediti», «debiti» e cosí via). A fronte di tanta pervasività di immagini tratte dal mercato, però, sta il fatto che la storia testimonia una visione ben diversa della creazione intellettuale. La civiltà infatti è prima di tutto una questione di pazienza: e anche la nostra si è sviluppata proprio in relazione al fatto che alla creazione culturale non si è chiesto immediatamente «a che cosa servisse». In particolare, è proprio lo studio dei Greci e dei Romani a meritare questa pazienza: soprattutto in Italia, un paese la cui enciclopedia culturale è stata profondamente segnata dall’ininterrotta conoscenza dei classici. Se si vuole mantenere viva questa presenza, però, è indispensabile un vero e proprio cambiamento di paradigma nell’insegnamento delle materie classiche nelle nostre scuole”.
Un cambiamento radicale di enciclopedia culturale somiglia infatti a un cambiamento di alfabeto”. Con  una proposta su come migliorarne l’insegnamento. Anzitutto rinnovandolo, ma rispetto alla “sciagurate” leggi degli ultimi venti anni, che lo vogliono alla moda, delle tematiche, dei personaggi, come se fosse la lettura del giornale. Mentre un  vero rinnovamento vuole il ripristino di un monte ore da “vero liceo classico”. E il cambiamento della valutazione finale, la “traduzione”. Che non può esere di un testo (magari di autore mai letto o più  meno sconosciuto, per rendere la prova più ardua), ma la prova di una cultura.
“L’Italia e la cultura umanistica” è il sottotitolo: Se non leggeremo piú l'Eneide perderemo contatto non solo con il mondo romano, ma anche con ciò che è venuto dopo. Perdere Virgilio significa perdere anche Dante, e cosí via.
Maurizio Bettini, A  che servono I Greci e I Romani?, Einaudi, pp. 148 € 12

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