Corpo –
È strumento dell’anima, secondo Socrate – della “coscienza razionale e morale
dell’uomo” (G. Reale, “Socrate”). Non un involucro, a sé stante, ma strumento.
Dell’anima – “che è anzitutto intelligenza, cioè capacità di intendere e di
volere” (G. Reale)
Depressione – È la vecchia acedia-accidia. Che il Vocabolario del’Enciclopedia Italiana
registra come “negligenza” – il contrario dalla “cura” heideggeriana, la Sorge:
inerzia o indifferenza spirituale, negligenza in particolare nell’operare il bene
e nell’esercitare la virtù, l’accidioso dicendo “triste, tetro, svogliato,
inerte, indolente, uggioso. Ma la declinazione malinconia prevale.
Se “l’eros è
l’immaginazione”, per l’autorità di Antonio Rosmini, anche la malinconia è il
prodotto dell’immaginazione forte, della sensualità, dell’animo morbido,
il famoso aggettivo italiano del Cinquecento trasposto in francese e in
inglese, lingue nelle quali è tuttora in uso, per dire un attributo malsano
della voluttà. Burton, ardente di bile, era allegro e si faceva chiamare
“Democritus Junior” — Democrito l’irridente che diceva all’ansioso e piangente
Eraclito: “Io non penso che vi sia in noi tanta sventura quanta vanità, né
tanta malizia quanta stupidità; siamo più vili che miserabili” (di Democrito la
Pléiade, presentando i filosofi pre-socratici, stabilisce: “Se il corpus di
Aristotele non avesse avuto la fortuna di essere ripubblicato nel primo secolo
a.C. da Andronico di Rodi, Democrito sarebbe sicuramente considerato il più
fecondo e universale maestro di saggezza dell’antichità”).
Il sole nero
della malinconia è, secondo Nerval e Julia Kristeva, il segno non della
creatività ma della depressione dei letterati — la pusillanitnitas che Jean Gerson
ed Erasmo deprecavano. Sulla traccia di Burton si pone invece Händel, con
l’oratorio “Myrth,
Melancholy and Moderation”, e
forse non è indifferente alla psicologia il clima isolano dell’Inghilterra.
Non manca chi
torna alle radici materiali. Georg Simmel, studiando la malinconia di
Michelangelo, ne fa la radice della pésanteur. E la vecchia
equazione malinconia-costipazione, che l’elleboro guariva mediante evacuazioni
violente. E si finisce col risolvere la malinconia nella follia. Léon Daudet,
da neurologo tardo ottocentesco, la denomina aura — un’intuizione seminale per
molto Novecento, derivata dalla ricerca di Origene attorno alla consistenza
corporea degli angeli. È alla malinconia che vengono apparentate le manie —
che sono sempre monomanie, cioè idee fisse — quali forme lievi di follia:
bibliomania, cleptomania, ninfomania, etc.
C’è di che
allarmare i Padri della Chiesa, che infatti hanno dedicato alla malinconia
un’attenzione costante, più dei laici — al punto che, spiega Giorgio Agamben in
Stanze,
già un millennio fa la sistemavano nelle stesse categorie “di cui si serve Heidegger
nella sua celebre analisi della banalità quotidiana e della caduta nella
dimensione anonima”. Queste le filiae acediae, o categorie
della malinconia: la verbositas, la curiositas, la importunitas mentis
(l’inquietudine), l’instabilitas loci vel propositi, la
malitia,
la pusillanimitas,
la torpor, l’evagatio mentis (distrazione),
tutte categorie eminentemente intellettuali.
La tedesca più
moderna, Ildegarda di Bingen (sua la mirabile sintesi del nodo mistico, o nodo
femminile. “Ave Èva, Vae!”), già nel Millecento ne identificava l’origine nel
primo peccato, la ribellione di Adamo e Èva. Secondo il monaco Evagrio era
questo il “demone meridiano”: inquietudine e noia. Dante pone nei gironi più
bassi dell’Inferno coloro che volontariamente vivono nella tristezza.
In “Guardare Cristo”
il cardinale Ratzinger, direttore del Sant’uffizio sotto il dinamico Giovanni
Paolo II, radicalizza il timore: “Anche la Chiesa può cadere nella tristezza
metafisica — nell’acedia —,
un eccesso di attività esteriore può essere il lamentevole tentativo di
colmare l’intima miseria e la pigrizia del cuore, che conseguono alla mancanza
di fede, di speranza”.
Ma la bizzarria
non disturba la santità, anzi la sottolinea, fin dai tempi delle Scritture:
dall’asina che parla alla verga del sacerdote che finisce dentro l’acqua,
all’Onnipotente che si esprime attraverso un rovo in fiamme. Montaigne
dimostrerà, dopo attenta disamina, che la virtù ha natura bifronte — e a tal
proposito porta il famoso esempio degli Italiani che, essendo dotati
d’immaginazione, in guerra badano soprattutto a salvare la pelle, mentre
Svizzeri e Tedeschi, “grossolani e lenti”, si arrendono dopo morti, sicché “la
mancanza d’intelligenza e la stupidità simulano a volte gli effetti della
virtù”. D’altronde il buffone è, nell’illuminante sintesi di Francesca Maria
Corrao, “il trickstar che
parodia i riti sacri”. L’eccentricità del mistico, come l’idiozia dello
sciocco, vanno fatte risalire all’identificazione con la divinità: “Assorti
nella contemplazione di Dio, queste persone non danno alcun valore alle cose di
questo mondo”. Filippo si collocava a modo suo nel precetto tomistico del gaudium, interpretando
semmai la follia come allegoria, quella degli amatissimi Jacopone da Todi e
Giovanni Colombini.
(2 - fine)
Eroi
– Sono di destra, si è detto, si sa – la
sinistra politica rifugge teoricamente dall’eroismo: sono la celebrazione
dell’individualità, nietzscheani se si vuole, ma di una vecchia tradizione . Ma
sono anche personaggi discussi di destra? Non si fa che celebrare Margaret
Thatcher (“non c’è una cosa chiamata società”), Ronald Reagan, e perfino
Richard Nixon - risanò il dollaro dopo il dissanguamento in Vietnam, aprì alla
Cina, liberò gli ebrei russi, s’infeudò gli arabi con la guerra del petrolio (a
spese dell’Europa) e chiuse in qualche modo la guerra-eccidio in Vietnam, tutte
cose che fece Kissinger, ma Nixon era il presidente. Sarà lo stesso di Trump? È
improbabile, ma Trump fa rivivere il modello e dà la misura di quanto questi
eroi odierni fossero odiati al loro tempo: criticati, disprezzati e tutti in
qualche modo usurpatori, benché eletti.
Essere –
È transeunte. Nella sua propria individualità, nella storia, nell’universo: l’essere
è un balenio, la forma di uno stato di passaggio. Nella sua “natura”. Che però
è sempre, e non può che essere, hic et nunc.
L’istante (dato, forma, ente) del moto-mutamento.
L’Essere è mutamento, perciò inafferrabile,
indefinibile se non come tale. Che si materializza (appare) in questa o quella
forma.,
Eternità –
Sarebbe l’universo. Che però non può pensarsi come tale, essendo in evoluzione.
È il contrario dell’Essere.
Filosofia
– È materia jonica, delle isole joniche e della Magna Grecia prospiciente, da
Reggio a Taranto. Con Velia tirrenica, che però era colonia dei Focesi di
Reggio, città jonica. Sbarcò ad Atene, nella Grecia continentale, con
Anassagora, nel 462 a.C.
zeulig@antiit.eu
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