domenica 5 maggio 2019

Secondi pensieri - 384

zeulig


Corpo – È strumento dell’anima, secondo Socrate – della “coscienza razionale e morale dell’uomo” (G. Reale, “Socrate”). Non un involucro, a sé stante, ma strumento. Dell’anima – “che è anzitutto intelligenza, cioè capacità di intendere e di volere” (G. Reale)

Depressione – È la vecchia acedia-accidia. Che il Vocabolario del’Enciclopedia Italiana registra come “negligenza” – il contrario dalla “cura” heideggeriana, la Sorge: inerzia o indifferenza spirituale, negligenza in particolare nell’operare il bene e nell’esercitare la virtù, l’accidioso dicendo “triste, tetro, svogliato, inerte, indolente, uggioso. Ma la declinazione malinconia prevale.

Se “l’eros è l’immaginazione”, per l’autorità di Antonio Ro­smini, anche la malinconia è il prodotto dell’immaginazione forte, della sensualità, dell’animo morbido, il famoso aggettivo italiano del Cinquecento trasposto in francese e in inglese, lin­gue nelle quali è tuttora in uso, per dire un attributo malsano della voluttà. Burton, ardente di bile, era allegro e si faceva chiamare “Democritus Junior” — Democrito l’irridente che diceva all’ansioso e piangente Eraclito: “Io non penso che vi sia in noi tanta sventura quanta vanità, né tanta malizia quanta stupidità; siamo più vili che miserabili” (di Democrito la Pléia­de, presentando i filosofi pre-socratici, stabilisce: “Se il corpus di Aristotele non avesse avuto la fortuna di essere ripubblicato nel primo secolo a.C. da Andronico di Rodi, Democrito sareb­be sicuramente considerato il più fecondo e universale maestro di saggezza dell’antichità”).
Il sole nero della malinconia è, se­condo Nerval e Julia Kristeva, il segno non della creatività ma della depressione dei letterati — la pusillanitnitas che Jean Gerson ed Erasmo deprecavano. Sulla traccia di Burton si pone in­vece Händel, con l’oratorio “Myrth, Melancholy and Moderation”, e forse non è indifferente alla psicologia il cli­ma isolano dell’Inghilterra.
Non manca chi torna alle radici materiali. Georg Simmel, stu­diando la malinconia di Michelangelo, ne fa la radice della pésanteur. E la vecchia equazione malinconia-costipazione, che l’elleboro guariva mediante evacuazioni violente. E si finisce col risolvere la malinconia nella follia. Léon Daudet, da neu­rologo tardo ottocentesco, la denomina aura — un’intuizione seminale per molto Novecento, derivata dalla ricerca di Orige­ne attorno alla consistenza corporea degli angeli. È alla malin­conia che vengono apparentate le manie — che sono sempre monomanie, cioè idee fisse — quali forme lievi di follia: biblioma­nia, cleptomania, ninfomania, etc.
C’è di che allarmare i Padri della Chiesa, che infatti hanno de­dicato alla malinconia un’attenzione costante, più dei laici — al punto che, spiega Giorgio Agamben in Stanze, già un millen­nio fa la sistemavano nelle stesse categorie “di cui si serve Hei­degger nella sua celebre analisi della banalità quotidiana e della caduta nella dimensione anonima”. Queste le filiae acediae, o categorie della malinconia: la verbositas, la curiositas, la importunitas mentis (l’inquietudine), l’instabilitas loci vel propositi, la malitia, la pusillanimitas, la torpor, l’evagatio mentis (distrazio­ne), tutte categorie eminentemente intellettuali.
La tedesca più moderna, Ildegarda di Bingen (sua la mirabile sintesi del nodo mistico, o nodo femminile. “Ave Èva, Vae!”), già nel Millecento ne iden­tificava l’origine nel primo peccato, la ribellione di Adamo e Èva. Secondo il monaco Evagrio era questo il “demone meri­diano”: inquietudine e noia. Dante pone nei gironi più bassi dell’Inferno coloro che volontariamente vivono nella tristezza.

In “Guardare Cristo” il cardinale Ratzinger, direttore del Sant’uf­fizio sotto il dinamico Giovanni Paolo II, radicalizza il timore: “Anche la Chiesa può cadere nella tristezza metafisica — nell’acedia —, un eccesso di attività esteriore può essere il lamentevo­le tentativo di colmare l’intima miseria e la pigrizia del cuore, che conseguono alla mancanza di fede, di speranza”.
Ma la bizzarria non disturba la santità, anzi la sottolinea, fin dai tempi delle Scritture: dall’asina che parla alla verga del sa­cerdote che finisce dentro l’acqua, all’Onnipotente che si espri­me attraverso un rovo in fiamme. Montaigne dimostrerà, dopo attenta disamina, che la virtù ha natura bifronte — e a tal pro­posito porta il famoso esempio degli Italiani che, essendo dotati d’immaginazione, in guerra badano soprattutto a salvare la pel­le, mentre Svizzeri e Tedeschi, “grossolani e lenti”, si arrendo­no dopo morti, sicché “la mancanza d’intelligenza e la stupidità simulano a volte gli effetti della virtù”. D’altronde il buffone è, nell’illuminante sintesi di Francesca Maria Corrao, “il trickstar che parodia i riti sacri”. L’eccentricità del mistico, come l’idiozia dello sciocco, vanno fatte risalire all’identificazione con la divinità: “Assorti nella contemplazione di Dio, queste persone non danno alcun valore alle cose di questo mondo”. Fi­lippo si collocava a modo suo nel precetto tomistico del gau­dium, interpretando semmai la follia come allegoria, quella de­gli amatissimi Jacopone da Todi e Giovanni Colombini.
(2 - fine)


Eroi – Sono di destra, si è detto, si sa – la sinistra politica rifugge teoricamente dall’eroismo: sono la celebrazione dell’individualità, nietzscheani se si vuole, ma di una vecchia tradizione . Ma sono anche personaggi discussi di destra? Non si fa che celebrare Margaret Thatcher (“non c’è una cosa chiamata società”), Ronald Reagan, e perfino Richard Nixon - risanò il dollaro dopo il dissanguamento in Vietnam, aprì alla Cina, liberò gli ebrei russi, s’infeudò gli arabi con la guerra del petrolio (a spese dell’Europa) e chiuse in qualche modo la guerra-eccidio in Vietnam, tutte cose che fece Kissinger, ma Nixon era il presidente. Sarà lo stesso di Trump? È improbabile, ma Trump fa rivivere il modello e dà la misura di quanto questi eroi odierni fossero odiati al loro tempo: criticati, disprezzati e tutti in qualche modo usurpatori, benché eletti. 

Essere – È transeunte. Nella sua propria individualità, nella storia, nell’universo: l’essere è un balenio, la forma di uno stato di passaggio. Nella sua “natura”. Che però è sempre, e non può che essere, hic et nunc. L’istante (dato, forma, ente) del moto-mutamento.
L’Essere è mutamento, perciò inafferrabile, indefinibile se non come tale. Che si materializza (appare) in questa o quella forma.,

Eternità – Sarebbe l’universo. Che però non può pensarsi come tale, essendo in evoluzione.
È il contrario dell’Essere.

Filosofia – È materia jonica, delle isole joniche e della Magna Grecia prospiciente, da Reggio a Taranto. Con Velia tirrenica, che però era colonia dei Focesi di Reggio, città jonica. Sbarcò ad Atene, nella Grecia continentale, con Anassagora, nel 462 a.C.

zeulig@antiit.eu

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