Il filosofo innamorato. A Vienna per le vacanze di Pasqua il 25
giugno 1936 annota in codice: “Rientrato a Cambridge dopo le vacanze pasquali.
A Vienna spesso assieme a Marguerite. Domenica di Pasqua con lei a Neuwaldegg.
Per tre ore ci siamo baciati molto ed è stato bellissimo”. Marguerite Respinger,
giovane svizzera di ricca famiglia, che ritorna spesso in questi diari, e
resterà l’amore della vita. Inesausto perché lei, tra una seduta di baci e
l’altra, decide di sposare un ingegnere agrario e andarsene con lui in Cile ad
aprire una fattoria. Nel 1931 è in vacanza con Wittgenstein a Skjolden, in
Norvegia. Ma l’anno dopo si sposa. Un’ora prima delle nozze Wittgenstein si
precipiterà a dissuadere Marguerite, senza esito (Marguerite si giustificherà
nel 1978 con un libro “scritto per i nipoti”), pur confessando: “Marguerite non
immagina quanto io sia vecchio”.
Si ripubblicano dopo
vent’anni, curati da Michele Ranchetti, i diari redatti da Wittgenstein - ne ha
sempre tenuto uno, da quando era stato prigioniero a Monte Cassino - a
Cambridge nel 1930-32 e in Norvegia, a Skjolden, fra il 1936 e il 1937. Emersi nel 1996 dal lascito di un maestro di
scuola, collega di Wittgenstein quando vole sperimentare l’insegnamento
elementare, cui la sorella Margarete li aveva regalati come ricordo alla morte
di “Luki”.
Con molta materia oscura,
inevitabilmente, oppure inutile, essendo i diari veri, non atteggiati per la
pubblicazione. Con riflessioni ritornanti sul modo proprio di essere, di
pensare, di insegnare, di scrivere, di rapportarsi, e di sognare, “alla Freud”.
Una sorta di autoanalisi frammentaria, da freudiano prima critico poi straiato:
“Io soffro di una specie di costipazione spirituale”, “Ci sono uomini troppo
fragili per andare in frantumi”, e così via. Con andamento aforistico, ma non
di memorabilia, piuttosto di
notazioni personali - alcune criptate.
Molte riflessioni sono sulla
religione, su Cristo, i miracoli, la verità, Dio in terra, e su San Paolo. Con
qualche pettegolezzo e molti apprezzamenti. Alcuni curiosi. Ingiusto quello su
Frank P. Ramsey in occasione della morte prematura a 26 anni: un genio della
logica matematica, suo adoratore, uno che aveva imparato il tedesco a
diciassette anni incuriosito dal “Tractatus” dello stesso Wittgenstein, che a
diciotto aveva tradotto in inglese, “lanciandolo”, a Cambridge e non solo, è liquidato
in mezza paginetta, acida. Curiosamente negativo, peraltro, o sulle sue, Wittgenstein
è nei confronti di molti: Clara Schumann, conoscenza di famiglia, il filosofo
Moore, Freud, gli inglesi, anche loro con lui tanto generosi – “un architetto o
un musicista inglese (un artista in generale), si può essere sicuri che sia un
ciarlatano!”, “gli inglesi non capiscono nulla di pittura”, parlano con la
patata in bocca, non sanno avere un contatto umano… Negativo, a più riprese, su
Mahler. Ma in questo caso argomentato: Wittgenstein, come un po’ tutti in
famiglia, era musicista e ottimo musicologo. Le notazioni sui grandi musicisti, Beethoven soprattutto, Mozart, Schumann, Bruckner, Mendelssohn, sono
le più apprezzabili di entrambi i diari.
La parte storicamente più
rilevante è nel diario di Norvergia, ed è la “confessione”, un tormento di più
giorni. Nel 1936-37, con Hitler praticamente a Vienna, “Luki” scrive a un
amico, conosciuto nella prigionia a Monte Cassino nel 1919, di avere mentito, a lui come agli altri
compagni a Monte Cassino, sulle sue origini, che sono ebraiche per tre quarti e
non per un quarto, come aveva loro detto, anche se la famiglia è assimilata.
Un affare, questo della
“confessione”, che si trascinerà anche in famiglia. Nel nome e per
conto della madre, per liberare la madre da un peso. Che però si chiude, all’ultimo
paragrafo, con un appello alla sottomissione
che oggi suona sinistro - un appello insolitamente solenne, profetico: “Ebrei! Da molto tempo non avete più dato al mondo
nulla di che vi ringrazi… Date nuovamente qualcosa per la quale vi spetti non
freddo riconoscimento ma caldo grazie.
Ma la sola cosa che il mondo richiede da voi è la vostra sottomissione
al destino. Voi potere dargli rose che fioriranno, non appassiranno mai”.
Wittgenstein resta uno che
non può non dirsi cristiano, qui per molte pagine, 77-102, per quanto
tormentate, in una “desolazione” eliotiana, del taccuino norvegese: “Come
l’insetto ronza intorno alla luce, così io intorno al Nuovo Testamento”. Per
radicamenti e per riferimenti, nella cultura cristiana, anche
religiosa, avendo vissuto l’infanzia e la giovinezza, e poi nella riflessione: non c’è filosofo “cristiano” professo che abbia così tanti riferimenti alle Scritture. In forma di domanda, se non di risposta, di certezza. Sulla morte, e sull’“aldilà” – sulla
retribuzione quale misura etica. Nella tendenza mistica risorgente – la
“pazzia” – che sarà il suo trademark.
“Tu devi vivere in modo da poter reggere alla pazzia, se essa viene. E la pazzia non devi fuggirla”. E a
seguire: “Tu non devi interloquire tanto col Nuovo Testamento, può farti ancora
diventare pazzo”.
Con una parentesi molto
cristiana: “(La fede propriamente cristiana - non la fede – non la
capisco ancora per niente)”. E con una professione di fede che sarà degli ultimi
papi, delle encicliche “Deus caritas est” e “Amoris Laetitia”: “Questa vita è l’amore,
l’amore umano per colui che è perfetto. E questa è la fede”… «Tu devi amare colui che è perfetto
sopra ogni cosa, così sarai beato”. Questo mi sembra il compendio della
dottrina cristiana”.
Ludwig Wittgenstein, Movimenti del pensiero, Quodlibet, pp.
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