lunedì 13 maggio 2019

Wittgenstein innamorato e beato

Il filosofo innamorato.  A Vienna per le vacanze di Pasqua il 25 giugno 1936 annota in codice: “Rientrato a Cambridge dopo le vacanze pasquali. A Vienna spesso assieme a Marguerite. Domenica di Pasqua con lei a Neuwaldegg. Per tre ore ci siamo baciati molto ed è stato bellissimo”. Marguerite Respinger, giovane svizzera di ricca famiglia, che ritorna spesso in questi diari, e resterà l’amore della vita. Inesausto perché lei, tra una seduta di baci e l’altra, decide di sposare un ingegnere agrario e andarsene con lui in Cile ad aprire una fattoria. Nel 1931 è in vacanza con Wittgenstein a Skjolden, in Norvegia. Ma l’anno dopo si sposa. Un’ora prima delle nozze Wittgenstein si precipiterà a dissuadere Marguerite, senza esito (Marguerite si giustificherà nel 1978 con un libro “scritto per i nipoti”), pur confessando: “Marguerite non immagina quanto io sia vecchio”.
Si ripubblicano dopo vent’anni, curati da Michele Ranchetti, i diari redatti da Wittgenstein - ne ha sempre tenuto uno, da quando era stato prigioniero a Monte Cassino - a Cambridge nel 1930-32 e in Norvegia, a Skjolden, fra il 1936 e il 1937.  Emersi nel 1996 dal lascito di un maestro di scuola, collega di Wittgenstein quando vole sperimentare l’insegnamento elementare, cui la sorella Margarete li aveva regalati come ricordo alla morte di “Luki”.
Con molta materia oscura, inevitabilmente, oppure inutile, essendo i diari veri, non atteggiati per la pubblicazione. Con riflessioni ritornanti sul modo proprio di essere, di pensare, di insegnare, di scrivere, di rapportarsi, e di sognare, “alla Freud”. Una sorta di autoanalisi frammentaria, da freudiano prima critico poi straiato: “Io soffro di una specie di costipazione spirituale”, “Ci sono uomini troppo fragili per andare in frantumi”, e così via. Con andamento aforistico, ma non di memorabilia, piuttosto di notazioni personali - alcune criptate.
Molte riflessioni sono sulla religione, su Cristo, i miracoli, la verità, Dio in terra, e su San Paolo. Con qualche pettegolezzo e molti apprezzamenti. Alcuni curiosi. Ingiusto quello su Frank P. Ramsey in occasione della morte prematura a 26 anni: un genio della logica matematica, suo adoratore, uno che aveva imparato il tedesco a diciassette anni incuriosito dal “Tractatus” dello stesso Wittgenstein, che a diciotto aveva tradotto in inglese, “lanciandolo”, a Cambridge e non solo, è liquidato in mezza paginetta, acida. Curiosamente negativo, peraltro, o sulle sue, Wittgenstein è nei confronti di molti: Clara Schumann, conoscenza di famiglia, il filosofo Moore, Freud, gli inglesi, anche loro con lui tanto generosi – “un architetto o un musicista inglese (un artista in generale), si può essere sicuri che sia un ciarlatano!”, “gli inglesi non capiscono nulla di pittura”, parlano con la patata in bocca, non sanno avere un contatto umano… Negativo, a più riprese, su Mahler. Ma in questo caso argomentato: Wittgenstein, come un po’ tutti in famiglia, era musicista e ottimo musicologo. Le notazioni sui grandi musicisti, Beethoven soprattutto, Mozart, Schumann, Bruckner, Mendelssohn, sono le più apprezzabili di entrambi i diari.
La parte storicamente più rilevante è nel diario di Norvergia, ed è la “confessione”, un tormento di più giorni. Nel 1936-37, con Hitler praticamente a Vienna, “Luki” scrive a un amico, conosciuto nella prigionia a Monte Cassino nel 1919,  di avere mentito, a lui come agli altri compagni a Monte Cassino, sulle sue origini, che sono ebraiche per tre quarti e non per un quarto, come aveva loro detto, anche se la famiglia è assimilata.
Un affare, questo della “confessione”, che si trascinerà anche in famiglia. Nel nome e per conto della madre, per liberare la madre da un peso. Che però si chiude, all’ultimo paragrafo, con un appello alla sottomissione che oggi suona sinistro - un appello insolitamente solenne, profetico: “Ebrei! Da molto tempo non avete più dato al mondo nulla di che vi ringrazi… Date nuovamente qualcosa per la quale vi spetti non freddo riconoscimento ma caldo grazie.  Ma la sola cosa che il mondo richiede da voi è la vostra sottomissione al destino. Voi potere dargli rose che fioriranno, non appassiranno mai”.
Wittgenstein resta uno che non può non dirsi cristiano, qui per molte pagine, 77-102, per quanto tormentate, in una “desolazione” eliotiana, del taccuino norvegese: “Come l’insetto ronza intorno alla luce, così io intorno al Nuovo Testamento”. Per radicamenti e per riferimenti, nella cultura cristiana, anche religiosa, avendo vissuto l’infanzia e la giovinezza, e poi nella riflessione: non c’è filosofo “cristiano” professo che abbia così tanti riferimenti alle Scritture. In forma di domanda, se non di risposta, di certezza. Sulla morte, e sull’“aldilà” – sulla retribuzione quale misura etica. Nella tendenza mistica risorgente – la “pazzia” – che sarà il suo trademark. “Tu devi vivere in modo da poter reggere alla pazzia, se essa viene. E la pazzia non devi fuggirla”. E a seguire: “Tu non devi interloquire tanto col Nuovo Testamento, può farti ancora diventare pazzo”.
Con una parentesi molto cristiana: “(La fede propriamente cristiana - non la fede – non la capisco ancora per niente)”. E con una professione di fede che sarà degli ultimi papi, delle encicliche “Deus caritas est” e “Amoris Laetitia”: “Questa vita è l’amore, l’amore umano per colui che è perfetto. E questa  è la fede”… «Tu devi amare colui che è perfetto sopra ogni cosa, così sarai beato”. Questo mi sembra il compendio della dottrina cristiana”.

Ludwig Wittgenstein, Movimenti del pensiero, Quodlibet, pp. 159 € 16,50



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