Questo sito metteva in dubbio due settimane fa
la possibilità per un gruppo italiano di fare affari
in Francia. Non c’era bisogno di doti profetiche per immaginare i no francesi a
Fiat-Chrysler: tutti i tentativi precedenti sono falliti, dalla Citroën che l’Avvocato Agnelli voleva comprare sessant’anni
fa, alla Société Générale, Alitalia, i cantieri. C’è in Francia un “complesso
politico-affaristico (Grandi Famiglie)” molto sciovinista.
Lo stesso in Germania. Il mercato è una fandonia
italiana, dei media italiani. Idem per il mercato dei capitali nella Unione
Europea. Si può comprare liberamente in Italia, i francesi lo hanno fatto e lo
stanno facendo, anche grandi imprese, e così i tedeschi, un tempo gli svedesi,
ora i cinesi, perfino i coreani. Ma la reciprocità quasi sempre non c’è.
La Germania, e un po’ anche la Francia, mettono limiti
perfino alla libera circolazione delle merci, sotto forma di regolamenti chimici
e ambientali. L’Europa langue per queste asimmetrie. Che per l’Italia sono
specialmente acute o offensive perché l’opinione non vi è preparata, né dai
governi né dai media. Mentre le istituzioni – le burocrazie ministeriali – sono
piuttosto filofrancesi. Capofila gli Esteri, di cui a lungo è stato punta di
diamante Sergio Romano, una sorta di piccolo De Gaulle che tuona contro gli
anglosassoni – anche se l’unico mercato aperto di fatto, sotto le polemiche
protezionistiche, sono stati e restano gli Stati Uniti.
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