giovedì 6 giugno 2019

Con la Francia niente affari – le asimmetrie europee


Questo sito metteva in dubbio due settimane fa

la possibilità per un gruppo italiano di fare affari in Francia. Non c’era bisogno di doti profetiche per immaginare i no francesi a Fiat-Chrysler: tutti i tentativi precedenti sono falliti, dalla Citroën che l’Avvocato Agnelli voleva comprare sessant’anni fa, alla Société Générale, Alitalia, i cantieri. C’è in Francia un “complesso politico-affaristico (Grandi Famiglie)” molto sciovinista.
Lo stesso in Germania. Il mercato è una fandonia italiana, dei media italiani. Idem per il mercato dei capitali nella Unione Europea. Si può comprare liberamente in Italia, i francesi lo hanno fatto e lo stanno facendo, anche grandi imprese, e così i tedeschi, un tempo gli svedesi, ora i cinesi, perfino i coreani. Ma la reciprocità quasi sempre non c’è.
La Germania, e un po’ anche la Francia, mettono limiti perfino alla libera circolazione delle merci, sotto forma di regolamenti chimici e ambientali. L’Europa langue per queste asimmetrie. Che per l’Italia sono specialmente acute o offensive perché l’opinione non vi è preparata, né dai governi né dai media. Mentre le istituzioni – le burocrazie ministeriali – sono piuttosto filofrancesi. Capofila gli Esteri, di cui a lungo è stato punta di diamante Sergio Romano, una sorta di piccolo De Gaulle che tuona contro gli anglosassoni – anche se l’unico mercato aperto di fatto, sotto le polemiche protezionistiche, sono stati e restano gli Stati Uniti.

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