sabato 8 giugno 2019

Derrida a Siracusa – la Nuova Internazionale dell’Ospitalità

Derrida “sulla sovranità , sulla cittadinanza, sulla civiltà e sulla cosa politica”, premonitore della nostra quotidianità, e risolutore. Essendo stato, come Platone, anche lui a Siracusa. Non per consigliare qualche tiranno, ma per tratteggiare il Duemila. Niente di meno. Con perspicacia e insolita sintesi.
È questo il Derrida  che si presentò a Siracusa a gennaio del 2001, all’inizio del millennio, per ringraziare della cittadinanza onoraria nella “città di Platone”, quella dove Platone concepì la “Repubblica” dei belli-e-buoni. Un Derrida risolutore propriamente no, se non in forma di interrogativi, ma quello che aveva individuato con precisione l’epoca e le evenienze per l’Europa nel mondo “mondializzato”. Insolitamente propositivo, quasi ottimista. La filosofia forse no, ma il filosofo è nudo di fronte alla mondializzazione, come Derrida chiama la globalizzazione: non sa che dirne. Sa però che è impossibile, e forse ingiusto, rifiutarla.
Come Platone, anche Derrida è stato dunque a Siracusa. Ma volendosi nudo. Platone a Siracusa s’immaginò di dettarne la politica, di coniugare le ragioni della politica a quelle della filosofia. Rischiando una fine poco onorevole. Derrida, in un’occasione cerimoniale, e con uno scritto breve, pur professandosi nudo, inerme cioè davanti alla politica, propone molto di più: il governo del mondo. Non della cosa pubblica, della politica in senso stretto, ma del senso e della direzione delle cose del mondo oggi.
Forse Platone non è stato a Siracusa, forse non nei termini della Lettera VII, di conquistatore-conquistato, ostaggio del tiranno che voleva sottomettersi. Ma la tentazione si può dire ricorrente, si pensi solo a Heidegger – un caso peraltro estremo, di un filosofo per così dire ingenuo, di fronte a un tiranno molto tirannico. Derrida lo riconosce: la tentazione è ricorrente, al punto che poi il filosofo, ogni filosofo, si sente nudo: “Un filosofo si sente sempre colpevole, politicamente in colpa, e dunque vergognoso, anche se non è nudo”, se ha provato a pensare la politica, a dare il suo contributo. Anche perché, vero o no che sia, il filosofo “da sempre lo si accusa di amare il potere”. E i filosofi stessi ne sono tentati, di condizionare “tutti questi sovrani attraverso i nostri consigli, le nostre teorie politiche, i nostri progetti di costituzione, la nostra saggezza e il sapere che si presuppone noi abbiamo circa le leggi, la storia, la destinazione e persino la felicità degli uomini”. Lui stesso ne è tentato – lo nega ma poi non lo nega.  
La “tentazione” è quella che ha generato i cattivi rapporti tra la filosofia e la politica. L’ambizione dei filosofi di “condizionare” i disegni pratici, della politica – che è, Derrida non lo ricorda, l’arte del possibile. Un’ambizione, si può aggiungere, che è in realtà il disdegno della politica.
La tentazione è quella Lettera VII di Platone, della cui autenticità a lungo si è dubitato ma che Derrida prende per buona, e con lui i curatori di questa edizioncina, sulla scia di Gadamer. Quello che più colpisce di questo discorsetto d’occasione, il 18 gennaio 2001, in un Palazzo del Senato nell’isola siracusana di Ortigia stracolmo, è una sorta di preveggenza, di acuta sensibilità storica e politica: qui è questione di Stati-nazione, frontiere, cittadinanza, identità, ospitalità, diritto d’asilo, immigrazione.
La “mondializzazione” ha già portato Derrida a resuscitare Marx, già nel 1993, subito dopo la caduta del bolscevismo, con una lettura “messianica” – “Spettri di Marx. Stato del debito, lavoro del lutto e nuova Internazionale”. Pronosticando una rivolta degli “oppressi”, in una “Nuova internazionale”, senza nazionalità e senza classi. Nel mentre che riprendeva e rielaborava il tema dell’ospitalità di Lévinas. Per una reinvenzione della democrazia, “una nuova alleanza tra filosofia e politica”, in vista di “una nuova era della cittadinanza cosmopolita”. E di “nuove leggi d’ospitalità internazionale: una nuova ospitalità per lo straniero, per lo xenos divenuto philos”.
Verso un nuovo modello di cittadinanza
Un esito che sembra di auspicio più che analitico: “Una nuova era di cittadinanza cosmopolita si annuncia e forse anche nuove leggi d’ospitalità internazionale: una nuova ospitalità per lo straniero, per lo xenos, divenuto philos, un’ospitalità che sarebbe più cosmopolita, più che platonica e anche paolina e kantiana, laddove il cosmopolita continua a fare segno verso un modello antico di cittadinanza, la cittadinanza di ieri ancora legata all’autoctonia, alla nazione, alla nascita, alla fraternità, alla lingua, alla religione al luogo della sepoltura, alla terra e al sangue”. Una dissolvenza totale, per un modo di essere informe, e inconsistente?
In Kant l’ospitalità è giuridica, in Derrida è incondizionata: nelle “Politiche dell’amicizia,” anteriori a questa “Tentazione di Siracusa”, va oltre la politica e il diritto, e anche l’etica. Con qualche aporia, se l’amicizia, come l’ospitalità, deve essere qualcosa e non il tutto-niente. La “tentazione” è anomala se il governante è monocratico, ma è possible e anzi necessaria in democrazia, dove si discute del “più” e del “meglio”? La tentazione non è la stessa?
Altrove, “Il diritto alla filosofia dal punto di vista cosmopolitico”, Derrida era già stato dissolvente. La filosofia non può essere legata a una lingua e a un luogo, a una sola memoria: “Sotto il suo nome greco e nella sua memoria europea è sempre stata bastarda, ibrida, innestata, multilineare, poliglotta”. In teoria sì, in astratto, ma in pratica, nella storia, come avviene la storia, come si svolge il gomitolo?
Caterina Resta, che ha recuperato la conferenza di Siracusa, la inquadra nell’ultimo Derrida. Elio Cappuccio, che la commenta, opportunamente riporta in ballo Popper, che si vorrebbe dimenticare, la sua acuta benché radicale rifutazione di Platone, dell’ambizione del sapiente di “risolvere” la storia. A Popper opponendo Gadamer, “Sccitti platonici”, che la “Repubblica” pretende di ascrivere al filone democrartico. Roberto Fai, al quale risale l’idea di invitare Derrida a Siracusa sul tena “tentazione della politica”,  rifà la “fraterna inimicizia” tra filosofia e politica – anch’egli con Gadamer al salvataggio di Platone. Derrida sembra muoversi su un altro terreno, più utopico e quasi di fantasia, che forse avrebbe sviluppato dopo il discorso di circostanza a Siracusa, se non che la vita non gliene lasciava il tempo.
Jacques Derrida, Tentazione di Siracusa, Mimesis, pp. 74 € 6  

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