mercoledì 26 giugno 2019

Il rifiuto della morte

“Il mio odio della morte procede dalla perpetua coscienza che ne ho; mi meraviglio di poter vivere così”. Questa è una delle prime riflessioni del 1946, a guerra finita e non ancora ricominciata, come guerra fredda. Perché: “La schiavitù della morte è il nocciolo di ogni schiavitù e, se questa schiavitù non fosse riconosciuta, nessuno accetterebbe di sottomettervisi”. In tempi di eugenetica e di buone morti in Svizzera, una voce controcorrente – ma, certo, postuma.
In “La lingua salvata”, primo volume dell’autobiografia, Canetti spiega l’origine della sua ossessione con la morte. Ha sette anni, gioca in cortile con altri bambini, e la madre si affaccia dal balcone urlando: “Stai lì a giocare e tuo padre è morto, tuo padre è morto”. A trentun’anni, di infarto. “È come se dalla morte improvvisa di mio padre io fossi rimasto lo stesso”, spiegherà: “La morte, che si annida in me da allora, mi ha improntato di sé, e io non posso sbarazzarmene”.
Non ci riuscirà nemmeno scrivendone, tutta la vita. Un terzo delle carte postume finora sfogliate di Canetti ha come tema la morte. Trascritte, le note sulla morte sarebbero circa duemila cartelle dattiloscritte. Questa raccolta è un estratto. In parte messo a punto dallo stesso Canetti in vari progetti di “libro contro la morte”, da “nemico della morte”. Anche sotto forma di romanzo , “Il nemico contro la morte”. Certo che questo fosse il “suo” libro: “È ancora il mio libro per antonomasia. Riuscirò finalmente a scriverlo tutto d’un fiato”? A partire dal 1942, spinto anche dagli eccidi della guerra. programmò un dossier specifico, col titolo “Libro contro la morte”, di pensieri vaghi.  Di cui pubblicherà una parte, circa 170 pagine dattiloscritte, in “La provincia dell’uomo”, 1973. E varie note includerà in altre pubblicazioni - di cui il curatore, Peter von Matt, dà qui conto. Per un totale di un decimo delle note manoscritte. Questa raccolta, per due terzi inedita, organizzata editorialmente, tenta di venire incontro al desiderio dell’autore.
Una sorta di anti-filosofia, se la filosofia è essere-per-la-morte, imparare che non siamo nulla. L’ossessione si presenta in forma di rifiuto. Canetti si vuole “corazzato” contro la morte, nell’autobiografia e anche qui. A  proposito di Nietzsche annota nel 1948 che non lo teme: “Nietzsche non sarà mai pericoloso per me perché c’è in me, al di là di ogni morale, un sentimento di una forza smisurata, il sentimento inespugnabile del carattere sacro della vita, di ogni vita, senza eccezione”.
Non un massimario. Rare le battute aforistiche. “Non voglio odiare, odio l’odio”. Dell’ipocondriaco - massima afflizione con il massimo di egoismo: “Nessuno gli sopravviverà; perché tutti quelli che l’hanno sopportato sono morti”. Della mistica fiamminga Antoniette Bourignon: “Se muoio, sarà contro la volontà di Dio”. Non una grande lettura, se non per la vena grottesca. Curiosamente espressa in inglese, invece che in tedesco. Il boia di Parigi che ha le sue ghigliottine distrutte dai bombardamenti. Il matrimonio combinato in Cina tra i figli morti, che Marco Polo testimonia. La serva di Fröhlich nel diario di Grillparzer, che pensa di ridare calore al padre stecchito composto sul letto dormendogli accanto. I naufraghi cinesi che puntano a evitare la deportazione dal Canada protestandosi morti e reincarnati canadesi. Gli aborigeni che in Australia affrettano la morte di un ferito succhiandone il respiro per rinvigorirsi.
Annotazioni come vengono, osservazioni, qualche riflessione. Secondo questo programma della prima ora, il 15 febbraio 1942: “Ho deciso oggi di annotare i miei pensieri contro la morte come il caso me li porta, nel disordine e senza sottoporli a un piano costrittivo” . Ma sotto questo proposito: “Soprattutto non diventare più comprensibile, non morire”, la morte come appiattimento dell’autore.
Un lungo, insistito, Grünewald. Con letture-ritratti lampo, qua e là, di Pavese, Musil, Goethe, lo scrittore tedesco più amato, con Bùchner, Robert Walser. Max Frisch a lungo, un amore diventato odio quando Canetti ebbe il Nobel, “al posto di Frisch”. Dürrenmatt, sempre con rispetto. Heinrich Böll – apprezzato in sé, e contro Bernhard, e perché è all’“inverso di un G.G.” che ha l’aria di essere Gunther Grass, “i cui atteggiamenti dittatoriali non fanno che mascherare la stupidità”. E incontri, quello con Bernhard, che lo disprezza, specialmente gustoso. Padrini Stendhal (“Non posso pensare di scrivere il mio «Della morte» al posto del suo (Stendhal) «De l’amour». Sarebbe forse bene che tenti la cosa con la stessa determinazione sua. Ma io sono uno zelota e un ebreo, e ho la Bibbia nel sangue, che non era uno dei suoi libri preferiti”), Gogol e Aristofane.
Intollerante a volte – “Qualcuno si lascia crocifiggere per mostrare che questo non ha niente di straordinario”, p. 113. Insoddisfatto, avendone trattato per quasi sessant’anni ininterrottamente, dal 1937 al 1994. Non trovando “l’istinto di morte”, di cui molti discetterebbero.  O di fatto la cosa avendo esaurito in “Vite a scadenza”, a teatro. Il primo progetto è del 1937, “Il dissipatore” – il dissipatore è la morte. Avviato nel 1942, trascurato per un paio di decenni, il progetto riprende slancio nel 1980, a 75 anni: “La mia sola speranza risiede nel libro sulla morte”. A un certo punto, a fine 1965, ha questo dubbio: “Quello che più mi meraviglia è che il mio atteggiamento di fronte alla morte non suscita sarcasmi”. Perché dovrebbe? “La morte è sempre insensata” è pensiero dell’anno successivo.
Un “rituale”, dice von Matt nel commento di questa “mania” di Canetti, che nei lunghi decenni d’incubazione non provò nemmeno a immaginare “il libro”, un canovaccio, un’idea, non ne è rimasta traccia nelle carte. Una forma di scongiuro. Ma poi lo “raccorda a diverse tradizioni, in particolare austriache, che vanno da Nestroy a Jelinek”.  Oltre che a Dürrenmatt, “di cui Canetti parla sempre con grande rispetto” - che però è svizzero, e non c’entra. Musil non è menzionato, giustamente, che Canetti mostra di non apprezzare. Ma, a Bernhard no? Di cui Canetti parla invece con sarcasmo, di uno che in effetti è un suo “figlio”. Con l’aggiunta: “Un discorso sulla morte che fa pensare a qualche testo di Elfriede Jelinek incrociato con Abraham a Sancta Clara” – che però è un viennese che viene da Messkirch, e dunque Heidegger? Di Vienna, dove Canetti visse fino al 1938, ha qui un solo ricordo: di quando nel dopoguerra su un autobus urbano due tizi lo squadrano a lungo, e poi l’uno dice all’altro “BCG” – che quando Canetti s’informa, gli spiegano che significa “Buono per la Camera a Gas.
Non una grande lettura. Di pensieri anche vani. “Il nome come prima ma segreta morte”. “Tutti gli artisti sono i cannibali dei loro antenati”. “Non c’è sofferenza che non sia preferibile alla morte”. La morte è nuda? “Maledetto sia colui che l’ha dicharata nuda, il sacro era la sua parure; finché restò drappeggiata in questa parure gli uomini, questi eterni assassini, potevano vivere tranquilli”.

Elias Canetti, Libro contro la morte, Adelphi, pp. 393 € 18

“Il mio odio della morte procede dalla perpetua coscienza che ne ho; mi meraviglio di poter vivere così”. Questa è una delle prime riflessioni del 1946, a guerra finita e non ancora ricominciata, come guerra fredda. Perché: “La schiavitù della morte è il nocciolo di ogni schiavitù e, se questa schiavitù non fosse riconosciuta, nessuno accetterebbe di sottomettervisi”. In tempi di eugenetica e di buone morti in Svizzera, una voce controcorrente – ma, certo, postuma.
In “La lingua salvata”, primo volume dell’autobiografia, Canetti spiega l’origine della sua ossessione con la morte. Ha sette anni, gioca in cortile con altri bambini, e la madre si affaccia dal balcone urlando: “Stai lì a giocare e tuo padre è morto, tuo padre è morto”. A trentun’anni, di infarto. “È come se dalla morte improvvisa di mio padre io fossi rimasto lo stesso”, spiegherà: “La morte, che si annida in me da allora, mi ha improntato di sé, e io non posso sbarazzarmene”.
Non ci riuscirà nemmeno scrivendone, tutta la vita. Un terzo delle carte postume finora sfogliate di Canetti ha come tema la morte. Trascritte, le note sulla morte sarebbero circa duemila cartelle dattiloscrite. Questa raccolta è un estratto. In parte messo a punto dallo stesso Canetti in vari progetti di “libro contro la morte”, da “nemico della morte”. Anche sotto forma di romanzo , “Il nemico contro la morte”. Certo che questo fosse il “suo” libro: “È ancora il mio libro per antonomasia. Riuscirò finalmente a scriverlo tutto d’un fiato”? A partire dal 1942, spinto anche dagli eccidi della guerra. programmò un dossier specifico, col titolo “Libro contro la morte”, di pensieri vaghi.  Di cui pubblicherà una parte, circa 170 pagine dattiloscritte, in “La provincia dell’uomo”, 1973. E varie note includerà in altre pubblicazioni - di cui il curatore, Peter von Matt, dà qui conto. Per un totale di un decimo delle note manoscritte. Questa raccolta, per due terzi inedita, organizzata editorialmente, tenta di venire incontro al desiderio dell’autore.
L’ossessione si presenta in forma di rifiuto. Canetti si vuole “corazzato” contro la morte, nell’autobiografia e anche qui. A  proposito di Nietzsche annota nel 1948 che non lo teme: “Nietzsche non sarà mai pericoloso per me perché c’è in me, al di là di ogni morale, un sentimento di una forza smisurata, il sentimento inespugnabile del carattere sacro della vita, di ogni vita, senza eccezione”.
Non un massimario. Rare le battute aforistiche. “Non voglio odiare, odio l’odio”. Dell’ipocondriaco - massima afflizione con il massimo di egoismo: “Nessuno gli sopravviverà; perché tutti quelli che l’hanno sopportato sono morti”. Della mistica fiamminga Antoniette Bourignon: “Se muoio, sarà contro la volontà di Dio”. Non una grande lettura, se non per la vena grottesca. Curiosamente espressa in inglese, invece che in tedesco. Il boia di Parigi che ha le sue ghigliottine distrutte dai bombardamenti. Il matrimonio combinato in Cina tra i figli morti, che Marco Polo testimonia. La serva di Fröhlich nel diario di Grillparzer, che pensa di ridare calore al padre stecchito composto sul letto dormendogli accanto. I naufraghi cinesi che puntano a evitare la deportazione dal Canada protestandosi morti e reincarnati canadesi. Gli aborigeni che in Australia fanno morire un ferito succhiandone il respiro per rinvigorirsi.
Annotazioni come vengono, osservazioni, baluginii estemporanei, qualche riflessione. Secondo questo programma della prima ora, il 15 febbraio 1942: “Ho deciso oggi di annotare i miei pensieri contro la morte come il caso me li porta, nel disordine e senza sottoporli a un piano costrittivo” . Ma sotto questo proposito: “Soprattutto non diventare più comprensibile, non morire”, la morte come appiattimento dell’autore.
Non una grande lettura. Di pensieri anche vani. “Il nome come prima ma segreta morte”. “Tutti gli artisti sono i cannibali dei loro antenati”. “Non c’è sofferenza che non sia preferibile alla morte”. La morte è nuda? “Maledetto sia colui che l’ha dichiarata nuda, il sacro era la sua parure; finché restò drappeggiata in questa parure gli uomini, questi eterni assassini, potevano vivere tranquilli”.
Elias Canetti, Libro contro la morte, Adelphi, pp. 393 € 18

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