“Il mio odio della morte
procede dalla perpetua coscienza che ne ho; mi meraviglio di poter vivere
così”. Questa è una delle prime riflessioni del 1946, a guerra finita e non
ancora ricominciata, come guerra fredda. Perché: “La schiavitù della morte è il
nocciolo di ogni schiavitù e, se questa schiavitù non fosse riconosciuta,
nessuno accetterebbe di sottomettervisi”. In tempi di eugenetica e di buone
morti in Svizzera, una voce controcorrente – ma, certo, postuma.
In “La lingua salvata”, primo
volume dell’autobiografia, Canetti spiega l’origine della sua ossessione con la
morte. Ha sette anni, gioca in cortile con altri bambini, e la madre si
affaccia dal balcone urlando: “Stai lì a giocare e tuo padre è morto, tuo padre
è morto”. A trentun’anni, di infarto. “È come se dalla morte improvvisa di mio
padre io fossi rimasto lo stesso”, spiegherà: “La morte, che si annida in me da
allora, mi ha improntato di sé, e io non posso sbarazzarmene”.
Non ci riuscirà nemmeno
scrivendone, tutta la vita. Un terzo delle carte postume finora sfogliate di
Canetti ha come tema la morte. Trascritte, le note sulla morte sarebbero circa
duemila cartelle dattiloscritte. Questa raccolta è un estratto. In parte messo a
punto dallo stesso Canetti in vari progetti di “libro contro la morte”, da
“nemico della morte”. Anche sotto forma di romanzo , “Il nemico contro la
morte”. Certo che questo fosse il “suo” libro: “È ancora il mio libro per
antonomasia. Riuscirò finalmente a scriverlo tutto d’un fiato”? A partire dal 1942, spinto anche dagli eccidi
della guerra. programmò un dossier
specifico, col titolo “Libro contro la morte”, di pensieri vaghi. Di cui pubblicherà una parte, circa 170
pagine dattiloscritte, in “La provincia dell’uomo”, 1973. E varie note includerà
in altre pubblicazioni - di cui il curatore, Peter von Matt, dà qui conto. Per
un totale di un decimo delle note manoscritte. Questa raccolta, per due terzi
inedita, organizzata editorialmente, tenta di venire incontro al desiderio
dell’autore.
Una sorta di
anti-filosofia, se la filosofia è essere-per-la-morte, imparare che non siamo
nulla. L’ossessione si presenta in
forma di rifiuto. Canetti si vuole “corazzato” contro la morte,
nell’autobiografia e anche qui. A
proposito di Nietzsche annota nel 1948 che non lo teme: “Nietzsche non
sarà mai pericoloso per me perché c’è in me, al di là di ogni morale, un
sentimento di una forza smisurata, il sentimento inespugnabile del carattere
sacro della vita, di ogni vita, senza eccezione”.
Non un massimario. Rare le
battute aforistiche. “Non voglio odiare, odio l’odio”. Dell’ipocondriaco -
massima afflizione con il massimo di egoismo: “Nessuno gli sopravviverà; perché
tutti quelli che l’hanno sopportato sono morti”. Della mistica fiamminga
Antoniette Bourignon: “Se muoio, sarà contro la volontà di Dio”. Non una grande
lettura, se non per la vena grottesca. Curiosamente espressa in inglese, invece
che in tedesco. Il boia di Parigi che ha le sue ghigliottine distrutte dai
bombardamenti. Il matrimonio combinato in Cina tra i figli morti, che Marco
Polo testimonia. La serva di Fröhlich nel diario di Grillparzer, che pensa di
ridare calore al padre stecchito composto sul letto dormendogli accanto. I
naufraghi cinesi che puntano a evitare la deportazione dal Canada protestandosi
morti e reincarnati canadesi. Gli aborigeni che in Australia affrettano la morte di un
ferito succhiandone il respiro per rinvigorirsi.
Annotazioni come vengono,
osservazioni, qualche riflessione. Secondo questo programma della prima ora, il
15 febbraio 1942: “Ho deciso oggi di annotare i miei pensieri contro la morte
come il caso me li porta, nel disordine e senza sottoporli a un piano
costrittivo” . Ma sotto questo proposito: “Soprattutto non diventare più
comprensibile, non morire”, la morte come appiattimento dell’autore.
Un lungo, insistito, Grünewald.
Con letture-ritratti lampo, qua e là, di Pavese, Musil, Goethe, lo scrittore tedesco
più amato, con Bùchner, Robert Walser. Max Frisch a lungo, un amore diventato
odio quando Canetti ebbe il Nobel, “al posto di Frisch”. Dürrenmatt, sempre con
rispetto. Heinrich Böll – apprezzato in sé, e contro Bernhard, e perché è all’“inverso
di un G.G.” che ha l’aria di essere Gunther Grass, “i cui atteggiamenti dittatoriali
non fanno che mascherare la stupidità”. E incontri, quello con Bernhard,
che lo disprezza, specialmente gustoso. Padrini Stendhal (“Non posso pensare di
scrivere il mio «Della morte» al posto del suo (Stendhal) «De l’amour». Sarebbe
forse bene che tenti la cosa con la stessa determinazione sua. Ma io sono uno
zelota e un ebreo, e ho la Bibbia nel sangue, che non era uno dei suoi libri
preferiti”), Gogol e Aristofane.
Intollerante a volte –
“Qualcuno si lascia crocifiggere per mostrare che questo non ha niente di
straordinario”, p. 113. Insoddisfatto, avendone trattato per quasi sessant’anni ininterrottamente,
dal 1937 al 1994. Non trovando “l’istinto di morte”, di cui molti discetterebbero.
O di fatto la cosa avendo esaurito in
“Vite a scadenza”, a teatro. Il primo progetto è del 1937, “Il dissipatore” –
il dissipatore è la morte. Avviato nel 1942, trascurato per un paio di decenni,
il progetto riprende slancio nel 1980, a 75 anni: “La mia sola speranza risiede
nel libro sulla morte”. A un certo punto, a fine 1965, ha questo dubbio: “Quello
che più mi meraviglia è che il mio atteggiamento di fronte alla morte non
suscita sarcasmi”. Perché dovrebbe? “La morte è sempre insensata” è pensiero
dell’anno successivo.
Un “rituale”, dice von
Matt nel commento di questa “mania” di Canetti, che nei lunghi decenni d’incubazione
non provò nemmeno a immaginare “il libro”, un canovaccio, un’idea, non ne è
rimasta traccia nelle carte. Una forma di scongiuro. Ma poi lo “raccorda a
diverse tradizioni, in particolare austriache, che vanno da Nestroy a Jelinek”. Oltre che a Dürrenmatt, “di cui Canetti parla
sempre con grande rispetto” - che però è svizzero, e non c’entra. Musil non è menzionato, giustamente, che Canetti mostra di non apprezzare. Ma, a Bernhard
no? Di cui Canetti parla invece con sarcasmo, di uno che in effetti è un suo “figlio”.
Con l’aggiunta: “Un discorso sulla morte che fa pensare a qualche testo di
Elfriede Jelinek incrociato con Abraham a Sancta Clara” – che però è un viennese
che viene da Messkirch, e dunque Heidegger? Di Vienna, dove Canetti visse fino
al 1938, ha qui un solo ricordo: di quando nel dopoguerra su un autobus urbano
due tizi lo squadrano a lungo, e poi l’uno dice all’altro “BCG” – che quando
Canetti s’informa, gli spiegano che significa “Buono per la Camera a Gas.
Non una grande lettura. Di
pensieri anche vani. “Il nome come prima ma segreta morte”. “Tutti gli artisti
sono i cannibali dei loro antenati”. “Non c’è sofferenza che non sia
preferibile alla morte”. La morte è nuda? “Maledetto sia colui che l’ha
dicharata nuda, il sacro era la sua parure;
finché restò drappeggiata in questa parure
gli uomini, questi eterni assassini, potevano vivere tranquilli”.
Elias Canetti, Libro contro la morte, Adelphi, pp. 393
€ 18
“Il mio odio della morte procede dalla perpetua coscienza che ne ho; mi meraviglio di poter vivere così”. Questa è una delle prime riflessioni del 1946, a guerra finita e non ancora ricominciata, come guerra fredda. Perché: “La schiavitù della morte è il nocciolo di ogni schiavitù e, se questa schiavitù non fosse riconosciuta, nessuno accetterebbe di sottomettervisi”. In tempi di eugenetica e di buone morti in Svizzera, una voce controcorrente – ma, certo, postuma.
In “La lingua salvata”, primo
volume dell’autobiografia, Canetti spiega l’origine della sua ossessione con la
morte. Ha sette anni, gioca in cortile con altri bambini, e la madre si affaccia
dal balcone urlando: “Stai lì a giocare e tuo padre è morto, tuo padre è
morto”. A trentun’anni, di infarto. “È come se dalla morte improvvisa di mio
padre io fossi rimasto lo stesso”, spiegherà: “La morte, che si annida in me da
allora, mi ha improntato di sé, e io non posso sbarazzarmene”.
Non ci riuscirà nemmeno scrivendone,
tutta la vita. Un terzo delle carte postume finora sfogliate di Canetti ha come
tema la morte. Trascritte, le note sulla morte sarebbero circa duemila cartelle
dattiloscrite. Questa raccolta è un estratto. In parte messo a punto dallo
stesso Canetti in vari progetti di “libro contro la morte”, da “nemico della
morte”. Anche sotto forma di romanzo , “Il nemico contro la morte”. Certo che
questo fosse il “suo” libro: “È ancora il mio libro per antonomasia. Riuscirò
finalmente a scriverlo tutto d’un fiato”?
A partire dal 1942, spinto anche dagli eccidi della guerra. programmò un dossier specifico, col titolo “Libro
contro la morte”, di pensieri vaghi. Di
cui pubblicherà una parte, circa 170 pagine dattiloscritte, in “La provincia dell’uomo”,
1973. E varie note includerà in altre pubblicazioni - di cui il curatore, Peter
von Matt, dà qui conto. Per un totale di un decimo delle note manoscritte. Questa
raccolta, per due terzi inedita, organizzata editorialmente, tenta di venire
incontro al desiderio dell’autore.
L’ossessione si presenta in
forma di rifiuto. Canetti si vuole “corazzato” contro la morte,
nell’autobiografia e anche qui. A proposito
di Nietzsche annota nel 1948 che non lo teme: “Nietzsche non sarà mai
pericoloso per me perché c’è in me, al di là di ogni morale, un sentimento di
una forza smisurata, il sentimento inespugnabile del carattere sacro della
vita, di ogni vita, senza eccezione”.
Non un massimario. Rare le
battute aforistiche. “Non voglio odiare, odio l’odio”. Dell’ipocondriaco - massima
afflizione con il massimo di egoismo: “Nessuno gli sopravviverà; perché tutti
quelli che l’hanno sopportato sono morti”. Della mistica fiamminga Antoniette
Bourignon: “Se muoio, sarà contro la volontà di Dio”. Non una grande lettura,
se non per la vena grottesca. Curiosamente espressa in inglese, invece che in tedesco.
Il boia di Parigi che ha le sue ghigliottine distrutte dai bombardamenti. Il
matrimonio combinato in Cina tra i figli morti, che Marco Polo testimonia. La
serva di Fröhlich nel diario di Grillparzer, che pensa di ridare calore al
padre stecchito composto sul letto dormendogli accanto. I naufraghi cinesi che
puntano a evitare la deportazione dal Canada protestandosi morti e reincarnati canadesi.
Gli aborigeni che in Australia fanno morire un ferito succhiandone il respiro per
rinvigorirsi.
Annotazioni come vengono,
osservazioni, baluginii estemporanei, qualche riflessione. Secondo questo programma della prima ora, il
15 febbraio 1942: “Ho deciso oggi di annotare i miei pensieri contro la morte
come il caso me li porta, nel disordine e senza sottoporli a un piano costrittivo”
. Ma sotto questo proposito: “Soprattutto non diventare più comprensibile, non
morire”, la morte come appiattimento dell’autore.
Non una grande lettura. Di
pensieri anche vani. “Il nome come prima ma segreta morte”. “Tutti gli artisti
sono i cannibali dei loro antenati”. “Non c’è sofferenza che non sia
preferibile alla morte”. La morte è nuda? “Maledetto sia colui che l’ha
dichiarata nuda, il sacro era la sua parure;
finché restò drappeggiata in questa parure
gli uomini, questi eterni assassini, potevano vivere tranquilli”.
Elias Canetti, Libro contro la morte, Adelphi, pp. 393
€ 18
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