La raccolta “a futura memoria” nella quale l’editore aveva radunato sei
anni fa molti dei testi dispersi di Camilleri, fra giornali, riviste, convegni,
prolusioni, lectio magistralia per le
lauree honoris causa”, riedita in economica – la raccolta più
indicativa e di miglior livello. Ricordi, riflessioni, anche in forma di
saggio, specie le spericolate escursioni linguistiche, in occasione delle
lauree, spunti, polemici e non, e qualche invenzione. Ma poi sempre il
sottofondo di Camilleri è favolistico – “un contastorie”, come Carlo Bo lo
definì, ricorda con orgoglio.
Di aneddotica inevitabilmente egocentrica, ma va bene lo stesso. Anche
nel name dropping, gli accenni a grandi personaggi in qualche modo
accostati, Robert Capa, Savinio, William Wyler. Un po’ meno professando il
genere simpaticone, alla Montanelli. Capace di scrivere 25 pagine di contumelie
sull’“italiano”. Escludendosi. Senza sofferenza. Senza consistenza – il suo è
un “italiano” forgiato da Berlusconi, “sotto il mantello protettore di Craxi”. Ma
in molte pagine non tutto può essere oro.
Talvolta non è indulgente, anche con se stesso. Molto ritorna il fascismo,
la memoria di gioventù. Molto anche Pirandello, compaesano. Il rapporto con
Sciascia, un’amicizia si direbbe di secondo grado, non intima, Camilleri non è
fra quelli che lo chiamavano Nanà, dice molto sullo scrittore di Racalmuto. Con
la “storia” del separatismo siciliano. Sempre irrispettoso con i Carabinieri. Con
l’elogio, raro, di Guglielmo Petroni. E con alcune pagine “geniali”, sui colori
cangianti di Roma, sulla Sicilia che era e non è più.
Al solito contestabile in tante certezze. La rivoluzione è giovane, dice
sull’onda delle primavere arabe, ma è furibondo con la gioventù che governa
l’Italia. Sempre felice, che non è poco.
Andrea Camilleri, Come la penso, chiarelettere, pp. 340 € 12
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