È anche una commedia al
femminile. Le donne sono intelligenti e sensibili, anche strateghe, gli uomini
balordi. La regia di David Livermore accentua i toni, fino all’omofobia. Il
coro, solitamente femminile, è fatto di omaccioni seminudi. Il ras egiziano che
vuole impalmare Elena è un vanesio settecentesco, nell’abbigliamento e il
tratto, un rididule. Minuetti e
passacaglie sottolineano alcuni passaggi.
Livermore ha anche adattato
la nuova traduzione, di Walter Lapini, a un ritmo più veloce, andante con moto.
Senza “saltare” i passaggi, la recitazione c’è tutta nel testo originale –
eccetto un paio di gag - ma
modernizzando i giri di parole delle traduzioni alla lettera.
Una sorpresa, forse
filologicamente non sbagliata. La regia è composita, Livermore usa tutti i
registri, anche l’appassionato e il giusto – molto si dice in tema di giustizia
– accanto agli equivoci e alle gag
cabarettistiche. Poche per la verità, ma danno il tono – fanno sapere al
pubblico, solitamente inteccherito a queste rappresentazioni classiche, che si
può ridere. L’egiziano lamenta “il pianto Greco”. La sua serva blocca Menelao
profugo con la scopa sul bagnasciuga, sillabando “da noi\ i porti\ sono\ chiusi” (applausi). Poi si fa
una canna, accesa con l’accendino, e la compartisce col profugo (applausi). Ma
è teatro.
Una serata di teatro. Anche
per la novità di una platea non oscurata, se non a mano col tramonto: il teatro
così è diverso, gli spettatori fanno anche loro spettacolo.
Gli aficionados
non apprezzano, si sentono commenti delusi. Ma tragedia e commedia non sono due facce della stessa moneta? L’epica
se ne distingue, ma Euripide non vuole assolutamente essere epico, è piuttosto
un social scientist.
Euripide, Elena, Teatro Greco, Siracusa
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