mercoledì 5 giugno 2019

La Guerra di Troia di fece per niente

Una commedia degli equivoci – quasi plautina, senza il cachinno. Elena non è andata a Troia,  ci ha mandato una sosia, gli Achei hanno fatto dieci anni di guerra e distrutto un mondo per nulla, Menelao e Agamennone, gli Atridi, sono due imbecilli, è in Egitto che Elena ora si trova, alla foce del Nilo, dove un re locale brama di impalmarla, benché in avanti con gli anni, e con una figlia lontana che ora non troverà più marito, essendo anche lei avanti con gli anni, se non che ci capita Menelao naufrago, dopo sette anni di peregrinazioni, e la coppia si ricongiunge, mettendosi infine in salvo nella Sparta originaria per le astuzie di lei. Peggio; non è Elena che si è sottratta al regalo di Afrodite a Paride, è Hera, che si è voluta vendicare di Afrodite,e ha mandato a Paride un simulacro: gli dei sono stupidi e gelosi, anche loro. Le battute comiche si sprecano.
È anche una commedia al femminile. Le donne sono intelligenti e sensibili, anche strateghe, gli uomini balordi. La regia di David Livermore accentua i toni, fino all’omofobia. Il coro, solitamente femminile, è fatto di omaccioni seminudi. Il ras egiziano che vuole impalmare Elena è un vanesio settecentesco, nell’abbigliamento e il tratto, un rididule. Minuetti e passacaglie sottolineano alcuni passaggi.
Livermore ha anche adattato la nuova traduzione, di Walter Lapini, a un ritmo più veloce, andante con moto. Senza “saltare” i passaggi, la recitazione c’è tutta nel testo originale – eccetto un paio di gag - ma modernizzando i giri di parole delle traduzioni alla lettera.
Una sorpresa, forse filologicamente non sbagliata. La regia è composita, Livermore usa tutti i registri, anche l’appassionato e il giusto – molto si dice in tema di giustizia – accanto agli equivoci e alle gag cabarettistiche. Poche per la verità, ma danno il tono – fanno sapere al pubblico, solitamente inteccherito a queste rappresentazioni classiche, che si può ridere. L’egiziano lamenta “il pianto Greco”. La sua serva blocca Menelao profugo con la scopa sul bagnasciuga, sillabando “da noi\  i porti\ sono\ chiusi”  (applausi). Poi si fa una canna, accesa con l’accendino, e la compartisce col profugo (applausi). Ma è teatro.
Una serata di teatro. Anche per la novità di una platea non oscurata, se non a mano col tramonto: il teatro così è diverso, gli spettatori fanno anche loro spettacolo.

Gli aficionados non apprezzano, si sentono commenti delusi. Ma tragedia e commedia non sono due facce della stessa moneta? L’epica se ne distingue, ma Euripide non vuole assolutamente essere epico, è piuttosto un social scientist.
Euripide, Elena, Teatro Greco, Siracusa

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