La bocciatura della Corte
costituzionale rivela che il capo della Lega, Salvini, voleva delegare tutti i
poteri ai prefetti. In deroga. Dalla stessa costituzione.
Salvini è il capo di un partito che era
nato all’insegna del decentramento. Proprio contro il potere dei prefetti.
Istituzione post-unitaria, di fine 1861, che sostituiva i governatori – autonomi,
locali – delle province richiamandosi a Napoleone. Una funzione quindi virtuosa
per definizione. Se non che il prefetto napoleonico è solo il braccio locale
del potere, e l’istituzione finì male già a fine Ottocento, come braccio “armato”
di Crispi e di Giolitti, i presidenti del consiglio più ambiziosi, poi sotto
Mussolini, e infine con le Madonne alle prime elezioni repubblicane.
La Lega delle autonomie è di fatto quella
del centralismo – del potere. Non è una novità: prima che con Salvini, aveva
già privilegiato il ministero dell’Interno, cui i prefetti fanno capo, con
Maroni. Il decentramento intendendo solo come una riserva di appalti, sanità, energia, ambiente, i settori ricchi. È un problema della Lega, anche se la coerenza qualche virtù in
politica ce l’ha. Ma è una Lega che avalla e anzi patrocina una funzione
autoreferente del corpo amministrativo: i prefetti lavorano per il potere delle
prefetture. Sostituirli ai sindaci sarebbe stato un delitto doppio per questo. Più
che per il Capo del dicastero, le prefetture lavorano per il proprio tornaconto:
gli incarichi (sono commissari di tutto, dopo avere tutto commissariato), gli
appalti (attraverso i non-appalti, arma totale), e i “non possumus”, “non licet”,
e altri artifici burocratici – del fare attraverso il non-fare.
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