“Non è l’abitare sul suolo natìo né il contatto
fisico generato dai commerci che ci unisce a formare una comunità, bensì, prima
di ogni altra cosa, l’esistenza di legami spirituali”. Chje sembra una
banalità, ma per “legami spirituali” Hofmannstahl intende l’opera letteraria. Che
non è una novità, ma lui lo riafferma in un momento delicato. Agli antipodi di
Heidegger, del suo strapaese di terra e sangue, sul solco della stessa
“rivoluzione conservatrice, dieci anni
prima di lui, quando la tempesta si temeva ma non si vedeva, Hofmannstahl
esordisce a Monaco, con questo “Discorso”
che il rettore Vossler e altri grandi intellettuali residenti, tra essi
Th.Mann, hanno voluto per arginare e indirizzare il nazionalismo.
In un’epoca di crisi un
secolo fa, analoga a quella in corso,
dell’Europa, dell’Occidente, di crisi si direbbe delle coscienze, anche se il termine è desueto e
quindi non più significante, che d’improvviso si ritrova e si vuole senza
radici, per una sorta di modernità, la caricatura della modernità, Hofmannstahl
moltiplica l’impegno, anche organizzativo e di proposta, per “sfuggire”, spiega
la curatrice, “allo sguardo paralizzante dell’attualità, riallacciare il fio
interrotto della tradizione, ricostruire attorno ai valori della cultura e
dello spirito l’identità di una nazione disorientata”. Una identità.
A questo fine il poeta e
drammaturgo austriaco ha rifondato nel 1920 - in realtà fondato, insieme con
Richard Strauss e Max Rheinardt, allora direttore del teatro di città - il
festival di Salisburgo. E poi molteplici riviste, case editrici e convegni. Qui
la sua proposta è semplice: “Noi non abbiamo la storia che ci lega uniti… Solo
nella letteratura troviamo la nostra fisionomia” - evidenza che si potrebbe
travasare pari pari in Italia. E a Carl Burckhardt nello stesso piego di tempo:
“Ho conservato la mia terra natale ma non ho più patria se non l’Europa” – dopo
la dissoluzione dell’impero austro-ungarico. Contro “il titanismo dell’anima tedesca”
(Elena Raponi) proponendo la “socievolezza” della cultura francese.
Hofmannstahl sceglie come reagente la Francia invece che l’Italia, cui era legato
familiarmente – era milanese la nonna paterna, Petronilla Rhô – probabilmente perché
in Italia c’erano già le leggi speciali di Mussolini, il regime. Su di essa
indirizzandosi anche per la lettura di Paul Ludwig Landsberg, “Il mondo del
Medio Evo e noi”, e di Vossler, “Italienisch- Franzōsisch-Spanisch: ihre
literarischen und sprachlichen Physiognomien”, sulle differenze culturali delle
lingue neolatine: “Sul suolo della lingua francese perfino la figura più
bizzarra e patologica viene integrata nella società”. Nonché di F. Ch. Rang, “Das
Reich”, un ex pastore luterano molto critico dell’imperialismo e del
nazionalismo tedesco.
Un testo che, con “La lettera
di Lord Chandos”, è il capolavoro
saggistico del poeta e tragediografo. Il fondamento di quella che sarà chiamata
la “rivoluzione conservatrice”, di E. Jünger e altri tedeschi inquieti – con
questo titolo, “La rivoluzione conservatrice europea”, già tradotto nel 1983, e
riproposto nel 2003.
Un monumento all’intellettuale.
“Nulla acquista realtà nella vita politica della nazione che non sia presente in spirito nella sua
letteratura; nulla vi è in questa letteratura così povera di vita e piena di
sogni che non diventi realtà nella vita della nazione”, in Francia - “In questo
«paradiso delle parole» risplende
sull’uomo di lettere una dignità senza pari”. Mentre la Germania ha tralignato
con l’avvento del “filisteo colto tedesco”. Quando la Germania “credette che
fosse giungo il momento di considerarsi
la nazione con la cultura più forte”. Smettendo l figura del “cercatore”, che
Nietzsche individua e sviluppa nelle “Inattuali”, proprio a proposito e contro
l’incipiente involuzione nazionalistica.
Ma un’opera disperata già nel
1926. Hofmmanstahl deve subito scusarsi, al terzo capoverso, di usare la
parola Literatur, perché rimanda a Weltliteatur,
che in Germania è spregiativo: “Il riflesso dello spirito di Goethe, che cento
anni fa aleggiava su questa parola, si è ormai sbiadito”. Per “l’infausta
frattura che corre nel nostro popolo tra le persone colte e quelle che non lo sono”.
Le note diffuse e la
circostanziata introduzione di Elena Raponi sono una lezione di storia germanica
- tedesca e austriaca - a metà dei 1920. Avvincenti e accurate. Con l’ausilio
dela corrispondenza di Hofmannstahl, abbondante e sempe molto dettagliata. La
testimonianza del suo impegno lucido e costante nel nazionalismo montante. Di
cui erano evidenti già allora, poco dopo la fine ingloriosa della guerra, i
veleni.
Notevolissimo il recupero di
Paul Ludwig Landsberg, oggi ridotto a teorico dell’eutanasia. Un ebreo
convertito, ma ciò malgrado esule , dal 1934 fino alla morte nel 1941, allievo
di Husserrl e Scheler, che opererà con Romano Guardini e il suo movimento dei
Quickborn, per il rinnovamento liturgico cattolico. In particolare della sua
opera di esordio, a ventun anni nel 1922, “Il mondo del Medio Evo e noi” (tradotto
in “Opere filosofiche”).
Hugo von Hofmannstahl, Le opere come spazio spirituale della
nazione, Morcelliana, pp. pp. 109 € 11
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