domenica 9 giugno 2019

Le rondini dopo la guerra

Una tragedia di donne, troiane, e quindi triple vittime: senza più figli né mariti, e ora schiave. Una perorazione contro la guerra. Muriel Mayette-Holtz la semplifica così. Aiutandosi con la presenza e la forza espressiva di Maddalena Crippa, Ecuba, che tiene la scena dall’inizio alla fine. E con un fondale semplice e memorabile di Stefano Boeri: il Bosco Morto, tronchi sopravvissuti al vento che ha devastato la Carnia a ottobre. Il coro e i comprimari vagano rivestiti di grigio, una presenza cinerea, funerea, come dopo un 11 settembre, dice la regista. Eccetto Elena, che una bionda capigliatura traboccante avvolge come un mantello. E Cassandra, che con Elena compartisce la recitazione fuori registro.
L’argomento di Euripide era più vasto, “Le troiane” essendo parte di un trittico, con un “Alessandro” e un “Palamede”. Alessandro era Paride, esposto da Ecuba alla nascita per scongiurare un oracolo che lo voleva causa di guerra, salvato e cresciuto da un pastore: un dramma sulla crudeltà degli dei. “Palamede” era, sempre a giudicare dai frammenti residui, la storia del giovane condannato a morte per tradimento dal cattivissimo Odisseo e il cialtronesco Agamennne sulla base di un falso documento, colpevole in realtà solo di avere smascherato la falsa follia di Odisseo, che si fingeva pazzo per non andare in guerra: l’ennesima denuncia della storia nazionale. Ma anche così, come dramma unico, “Le troiane” non è quello che sembra.
La guerra è crudele, crudelissima. Ci sono scene terribili contro la guerra. La divisione delle donne superstiti tra i vincitori come schiave – perfino Ecuba, vecchia e sola. Astianatte, il bimbo di Andromaca e Ettore, viene ucciso dagli Achei per evitare che possa un giorno vendicare il padre – il corpicino viene restituito a Ecuba per il rito funebre. Troia viene data alla fiamme. Ma non ci sono innocenti. Ecuba sarà implacabile contro Elena, di cui vuole insistente la morte – uno degli acme della tragedia: ricordi amorevoli e lodi esagerate del figliolo Paride, vendetta contro Elena.
Euripide è questo. Ma questa lettura siracusana si vuole femminile – femminista – e antibellica, e il dramma svanisce. In una perorazione. Ora anche politicamente corretta, e un po’ lagnosa: sveltita dalla traduzione di Alessandro Grilli, ma monotona. Taltibio, che in Euripide ha un ruolo denso, tra la pietà e l’indignazione, parla e agisce in Paolo Rossi come un semplice commesso degli Achei: deve solo portare via le donne schiave, e incendiare la città. Il coro, che in Euripide  ha molte parti di contrappeso, è un intermezzo. Elena una bizzarria, troppo colorata nel grigiore, troppo combattiva nella rassegnazione.
Una rappresentazione al teatro Greco è comunque suggestiva. Non ultimo per il volo delle rondini, che a ondate, agli scoppi finali che simulano l’incendio della città, abbandonano i nidi, si presume in fuga, ma sorvolano la cavea serene in formazione – ci sono ancora rondini in Italia.

La tragedia è (Savinio) “rappresentazione di uomini moralmente superiori”. Forse Euripide non è un tragico, è un drammaturgo moderno, “borghese” – incredulo.
Euripide, Le Troiane, Teatro Greco, Siracusa

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