Ha provato col sanscrito? Non è la
sola perplessità. Anche il vino viene dall’Asia, pare dalla Persia. Ma, soprattutto,
il vino non divide l’Europa? Quella superiore, britannica dapprima poi tedesca,
si è voluta superiore in nome della birra.
Ora,
anche la birra è asiatica. Bisognerebbe allora fare una correzione: l’Europa
che non trova radici ne avrebbe due consolidate, per mentalità e linguaggi,
l’area del vino e quella della birra.
Questo
si vede, sia consentita una parentesi, girando per la Germania, il cuore dell’Europa.
Treviri, al cuore della Mosella, e quindi del vino, la seconda Roma, è roccia
solida. Anche a Zell, che coltivava il
lattucario, che ha l’effetto dell’oppio, la vite ha prevalso - il vino che
accende la lettura: “lasciva
est nobis pagina, vita proba”, canta Ausonio, il poeta di Bordeaux che
poetò la Mosella. La Mosella è la Germania più romanizzata, col Sud Tirolo ora
italiano: ci facevano il vino.
Che
dirne: si fa poesia col vino, si filosofa con la birra? Vandelberto, abate di
Prün, sempre area del vino, versificò il calendario, come Francis Jammes.
Valfredo Strabone, abate di Fulda, in anni calamitosi si dilettò all’elogio
della cucurbita scrivendone a Grimaldo, abate di San Gallo. Si passavano un
tempo le frontiere ignari: prima degli Stati la vite univa Francia e Germania.
Però, che sia la coda dell’Asia,
questo all’Europa non lo può togliere nessuno.
Philippe Daverio, Quattro conversazioni sull’Europa,
Mondadori Electa, pp. 155, ill. € 18, 90
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