venerdì 14 giugno 2019

Quant’è serio il comico

“Il riso, il gioco, le avanguardie nella letteratura del Novecento” è il sottotitolo, una sintesi precisa degli interessi e dell’opera di Pedullà, di cui Carlo Serafini ha raccolto molti testi sparsi, in convegni, giornali, riviste, e qualche inedito.
“Quadrare il cerchio”, il titolo lo spiega lo stesso Pedullà nella Nota redazionale. “In principio fu Savinio, che oppose l’ordine quadro al cerchio”, una conoscenza plurale a una unica e assoluta  - “il cerchio è ripetitivo, il quadrato è innovativo”. Il mestiere del critico è per natura circolare, conclusivo, ma Pedullà prova a quadrarlo e ad aprirlo. A fare di fatto della stessa funzione critica una narrazione – narrazione di narrazioni. Non una novità, si pensi a Debenedetti, il maestro di Pedullà, ma già a De Sanctis, e non un’eccezione, ma in questo caso singolarmente viva - parliamo di testi che hanno trenta, quarant’anni di vita. Quando si farà la storia letteraria del Novecento non si potrà non tenerne conto. Baudelaire e Carlo Dossi presagivano un Novecento all’insegna del riso – lo humour, il gioco, la follia – e Walter Pedullà è sulla loro lunghezza d’onda. Scrive divertito e divertente, come gli autori che ama, anche quando la sintesi o il senso sono ardui o legnosi. Che cos’è il riso non è un tema, è la materia.
Ma c’è in sostanza nella raccolta, come in tutto Pedullà, per un trentennio critico “militante”, cioè quotidiano, oltre che contemporaneista alla Sapienza in corsi affollati, tutto il Novecento. Meno alcune esclusioni illustri: Pasolini, Moravia, Morante le principali, ma anche Primo Levi, Soldati, Buzzati. Con gli amatissimi Svevo, Palazzeschi, Gadda, Savinio, Bontempelli, Pizzuto – manca, nella categoria, D’Arrigo. Col fratello maggiore  Gesumino, “filologo e partigiano”, e alcuni “amici e compagni di strada”: Pagliarani, Roncaglia, Bilenchi, Bertolucci, Pontiggia, Ripellino, Zavattini – l’assenza, nella categoria, è di Malerba, mentrte ci sono i poco praticati Flaiano e Frassineti.
Attorno a Gesumino, a cui viene dedicata la scuola media di Siderno, il paese natale, un forte racconto familiare è costruito. Sul padre, sarto di paese, uomo di equilibrio e saggezza, nonché di grande capacità nel mestiere, che, benché smoccolasse proverbi più dei “Malavoglia “ di Verga, assurge al rispetto della cittadina, da “mastro” passando nell’opinione a “don”. Della madre maestra, sposa a sedici anni, madre di sette figli, di cui cura soprattutto l’apprendimento, la costanza nello studio, alle superiori e all’università, benché negli anni 1940-1950 le strutture in Calabria fossero poche e diperse. Del fratello maggiore Gesumino, il vice-padre come lo vuole l’habitus mentale locale, uomo di tutti i saperi, filologici e matematici, confinato per antifascismo dal liceo di Locri a quello di Alatri nel frusinate – dove però non demorde, gli sarà intitolata a fine guerra la sezione locale del Pci. Una miniera di aneddoti, edificanti o anche solo comici. Con gli inglesi liberatori del maresciallo Montgomery, che si presentano a Alatri col gonnellino dei reggimenti scozzesi, e sono di colorito scuro, finiranno per intendersi in sanscrito. Gesumino muore mentre torna a casa, per il tifo contratto fra gli stenti e il gelo in montagna, fiduciario del Cln per i monti Ernici.
La storia familiare è l’inedito maggiore della raccolta. Che meriterebe un destino distinto – con minime revisioni: spontanea, si vede commossa, e poco corretta, anche ripetitiva. Ma un forte racconto, alla maniera ormai classica di Gay Talese , “Onora il padre”, in cui l’umile realtà quotidiana, del mestiere, delle abitudini paesane, degli assetti sociali immobili, unico sfogo l’emigrazione, assume rilievo epico e tragico – per una volta non umoristico (cioè no, anche lo humour è serio?).
Walter Pedullà, Quadrare il cerchio, Donzelli, pp. 476 € 19,90.

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