Va ad esaurimento il terzo
rifacimento di questa fortunata raccolta di saggi di Walter Pedullà su Savinio.
Inizialmente una raccolta di lezioni alla Sapienza, pubblicata nel 1979 con Lerici.
Poi in una nuova edizione con Bompiani. E nel 2011 questa, con alcuni contributi
di Ruggero Savinio. Tra essi una fotobiografia affascinante – raccontata con arte
- del padre, con la sua propria madre (la nonna di Ruggero), il fratello De
Chirico, la moglie e i figli, la casa di vacanza al Poveromo di Marina di
Massa, Giacomo Debenedetti, Bontempelli. E la passione per la musica, che lo
metteva in forte agitazione – “cambiava carattere, diventava irriconscibile”,
agitato, “intrattabile”. L’amicizia con Debenedetti era consolidata anche
dall’“affetto che nutrivano entrambi per Noventa”. Un piccolo romanzo s’imbastisce attorno alla
casa di vacanza al Poveromo, parte di un progetto dell’architetto Enrico
Galassi, che poi dovette abbandonarlo per le leggi razziali.
Pedullà rilegge con lievità e
acume la “camaleontica” produzione letteraria di Savinio (“I titoli di
Savinio” è una delle lezioni, estesa per
almeno quaranta titoli). Ne valuta l’adesione, sotto l’avversione dichiarata,
alle avanguardie di inizio Novecento, per primo il futurismo. Ne rileva la
“profondità” – “le” profondità – sotto l’avversione ripetuta, costante, per la
parola e per il concetto. Il “profondismo” deridevano Pope, Swift e gli altri “Scriberiani”
– nel mentre che, sulle ali del Werther di Goethe, si preparava il romanticismo,
il più “profondista” di tutti. Ma “ipocrita” è Savinio in senso letterale,
etimologico, come colui che di proposito guarda da sotto - dilettante per
cochetteria. La morte esponendone come tema ricorrente:“In «Casa “La Vita”» non
si parla che di morte”. Amante, in forme dirette e indirette, del teatro, della
rappresentazione non risolutiva della vita, delle vite.
Pedullà scrive di Savinio mimandone,
senza volerlo, per personale disposizione, l’innovativa capacità di scrittura,
creativa e significante insieme - “più” significante per non essere scontata,
di routine. Il contemporaneista
Pedullà scrive degli scrittori che ama, Svevo, Gadda, e ne riproduce le
peculiarità di scrittura (senza scendere nel pastiche, ovvero in una sorta di elegante pastiche).
Con una classica mezza pagina
su Sciascia, il grande lettore e ammiratore di Savinio: concise, di passata, ma
definitiva. Ammiratore e amante dei rondisti, Sciascia “sulla loro prosa aveva
imparato a scrivere in un italiano terso e puntuale come quello di un classico”.
Gli piaceva Savarese, gli piaceva Cecchi. “Perciò si trovò sul versante opposto
a quello di D’Arrigo” – che Pedullà ha sempre sponsorizzato, anche con foga –
“narratore analitico che scrive in una lingua popolare che non è parlata da
nessun popolo”. Di suo “Sciascia non potrebbe essere più sintetico, un avaro
che regala parole che valgono oro anche quando non luccicano”. Certo che “la
verità è più vicina all’essenziale che al molteplice”.
Walter Pedullà, Alberto
Savinio, scrittore ipocrita e privo di scopo, Anordest, remainders, pp.
239, ill. € 6,30
Nessun commento:
Posta un commento