Un giovane su due al Sud, Abruzzo compreso, non lavora, il 52 per
cento. In Emilia Romagna i giovani senza lavoro, tra i 17 e i 24 anni, sono il 18 per cento, in
Lombardia il 20, in Toscana il 23. Anche la demografia langue: meno 220 mila residenti in quattro anni.
La ricchezza pro
capite prodotta annualmente è diminuita del 10 per cento negli ultimi dieci
anni. È il Chek-up
Mezzogiono di luglio 2919, realizzato dalla Confindustria e da Srm (Studi e
Ricerche sul
Mezzogiorno di Intesa San Paolo). I disoccupati totali sono un milione e mezzo,
per un tasso di
disoccupazione attorno al 20 per cento. Con un tasso di attività ridottissimo,
il 54 per cento della popolazione
in età lavorativa – come se tute le donne, più o meno, si tenessero fuori del
mercato del
lavoro. E un tasso di occupazione (gli occupati in rapporto alla popolazione) di
appena il 43 per cento
- gli occupati sono sotto i sei milioni, su una popolazione di 14 milioni.
Scrive
ad Augias, “la Repubblica”, un signore da Roma per dire che in Calabria non c’è
alcuna politica di repressione della malavita quotidiana. Facendone una terra di
nessuno, con uno spopolamento vistoso della sua parte migliore. Augias
concorda, ricordando che la stessa cosa gli aveva spiegato il sindaco di Reggio
Calabria Italo Falcomatà. Che è morto vent’anni fa. L’immobilismo c’è, dello
Stato – e dei media, se se ne parla solo nelle lettere al giornale.
Gian Antonio Stella ridicolizza mercoledì sul “Corriere
della sera” Giuseppe Alessi, il primo presidente della Regione Sicilia, ex
presidente del Cln siciliano, che distingueva, dice, tra mafia buona e
cattiva. E criticava il giudice Caselli.
Alessi è stato un politico rispettato, perché
onesto, e lineare – vecchio Popolare nel 1919-1927, e poi fuori dagli intrighi
Dc, di fanfaniani contro andreottiani etc. Rifondatore ardito e solitario della Dc nel 2002. È morto di 103 anni nel 2009, e
quindi al tempo di Caselli Procuratore a Palermo era sulla novantina. Era
contro Caselli per il “tutto mafia” e il processo a Andreotti.
Tra (vecchia) mafia buona e mafia cattiva
distingueva anche Sciascia.
La Corte Suprema olandese assolve l’Olanda, il
contingente olandese dei Caschi Blu dell’Onu, sotto accusa per avere
espulso dalle sue caserme a Srebrenica in Bosnia venticinque anni fa, nella
guerra con i serbi, 350 civili bosniaci che vi si erano rifugiati
inseguiti dalle milizie serbe. L’espulsione esponeva i bosniaci alla
morte, ma l’Olanda non ne ha colpa – ce l’ha, ma “al 10 per cento”. Non
è inventata, è vera: l’Olanda è colpevole al 10 per cento. La migliore
carità comincia da se stessi. E non è da ridere: si accumula così.
La povertà della
ricchezza
Nicola
Manfroce è un compositore di Palmi, morto di appena 22 anni nel 1813, ma già stella
della scuola napoletana, allora dominante nell’opera, benché con soli due melodrammi
all’attivo. Palmi gli ha intestato una strada ma non lo ricorda.
Lo
riesuma questa estate Martina Franca, a Taranto, per il suo Festival della
Valle d’Itria, con una superba ripresa della sua seconda opera, “Ecuba”, andata
in scena al San Carlo di Napoli con grandissimo successo il 12 dicembre 1812,
poco prima della sua morte. Con la regia e i costumi di Pier Luigi Pizzi,
l’orchestra del Petruzzelli, il coro del teatro Municipale di Piacenza. Una
ripresa che ha attirato critica e pubblico.
Palmi
si direbbe città musicale, oltre che di scrittori (Repaci, Zappone, Salerno...),
con due autori di fama nazionale, Cilea e Manfroce. Ha anche una montagna
strepitosa, il Sant’Elia, e un mare di ogni qualità, di sabbia e di scoglio, di
spiagge profonde e di calette, d’acqua trasparente, fino a quindici e venti
metri di profondità, con parchi di delfini al largo, lo Stretto e Stromboli all’orizzonte.
Messa in mano agli olandesi, per dire, o anche soltanto ai romagnoli, sarebbe
una miniera.
Usava anche essere una sottoprefettura, quindi ha Procura,
Tribunale, Asl, e con essi un ceto medio intellettuale nutrito. Che però non
conta nulla.
È
un grosso centro addormentato, neanche i suoi avvocati sono più buoni, che
vivacchia di abusi di ogni tipo. Quelli edilizi interminabili, come la bellezza da demolire.
L’arancino di Camilleri
Si
celebra con Camilleri l’arancino, lo street
food del ferry.boat a Villa San Giovanni, l’insegna della
Sicilia. Dei cui ingredienti principali, il riempitivo e il riso, quest’ultimo
è milanese, riso allo zafferano.
Zafferano, certo, che viene – veniva - dalla Sicilia.
Quando
si girava per la Sicilia felix,
deserta per mafia, nei tardi anni 1960 e nei 1970, il menù dei rari
ristoranti era pasta alla bolognese, con parmigiano grattugiato, e cotoletta
alla milanese. Non palermitana
– ce n’è una palermitana.
“Robinson”
e “La Lettura” escono il sabato. Il supplemento di “la Repubblica”, quotidiano
romano, è
tutto su Camilleri, preparato ovviamente da tempo (oltre alle tante, estese,
informatissime articolesse
nel corpo del giornale), 14 saggi di firme del giornale. Quello del “Corriere
della sera”, pure
vuoto di idee, e pur sapendo che Camilleri vende, e che è in fin di
vita, niente.
Incapacità
redazionale (di direzione, di produzione)? Camilleri è pur sempre un siciliano
a Roma.
Anche
“Micromega”, il trimestrale del gruppo “la Repubblica”, è pronto, con ben due
numeri speciali:
tutto quello che Camilleri vi ha scritto negli anni. Mondadori, che ha tanti diritti
di Camilleri,
con marchio Mondadori o Rizzoli, e dispone in qualche modo anche de “il
Giornale” e “Panorama”,
anch’essa non ci pensa. Contro il Sud si sacrifica anche il business? Questa potrebbe essere
una novità palatable – quasi come
l’arancino.
Sudismi-sadismi
I
110 e lode alla maturità al Sud indignano come ogni anno il “Corriere della
sera”. Ma quest’anno niente Stella Grande Firma, il compitino è affidato a
firma ignota. Se ne stanno stancando?
Cazzullo
va in albergo a Positano - s’immagina al San Pietro, l’albergo della vecchia clientela
britannica, gestito da portieri di grande tradizione, svizzeri e\o napoletani,
come usava - e s’indigna. Lo hanno interpellato in inglese. Non solo, alla sua
protesta di essere italianissimo, si è sentito dire: “Sorry?”
Anche
in Salento, il paradiso terrestre, perfino ordinato e pulito, Cazzullo non ha trovato un bar dove gli hanno servito un “vino” bianco da una tanica di
plastica?
Non
è che uno non va al Sud e va, poniamo, a Jesolo, c’è il mare anche a Jesolo. È
che uno va al Sud per dirsene scontento. Il motivo non c’entra.
Comunque
Cazzullo ha ancora strada da fare – i “sorry” di Positano sono un passo
piccolo. La strada è sempre quella indicata da Montanelli, l’Inarrivabile, col
decalogo in albergo a Crotone su come farla dentro la tazza.
S’indigna
anche Francesco Merlo su “la Repubblica”, a proposito del ribaltone alla
dirigenza del Maggio Musicale Fiorentino: “A Firenze, che dell’opera è il fonte battesimale, come Napoli lo è
della pizza margherita”. Firenze e non Napoli fonte battesimale dell’opera?
Il romanzo di
Camilleri
"«Tutto tranne i suoi romanzi»", ricorda lo
stesso Merlo in morte di Camilleri: “Una volta, più di vent’anni fa, scrissi
che di Camilleri mi piaceva tutto, l’età, il successo, la voce roca, i
pensieri, le sigarette e il whisky, la risata, il suo essere di sinistra come
un ragazzino...: «tutto tranne i suoi romanzi». Quella monelleria
giornalistica, che apparve sulla prima pagina del Corriere della Sera dove
allora lavoravo, si chiama stroncatura, ed è la «cattiveria divertente», ha
scritto Pietro Citati che la pratica alternandosi con Arbasino, «uno disegna la
propria forma contro gli altri»”. Merlo che “disegna la propria forma
contro Camilleri” non è male – Merlo chi?
La stroncatura fu seguita da una falsa lettera,
continua il giornalista di “la Repubblica”, e da una vera lettera seguita da
un’amicizia. Fra siciliani ci s’intende, spiega. Non ci sono inimicizie in
Sicilia. Cioè ce ne sono, ma non durano, niente dura.
I romanzi sono la cosa a cui Camilleri più teneva.
La questione
meridionale è inutile
Negli
“Scritti sulla emigrazione e sopra altri argomenti vari” raccolti nel 1909,
Pasquale Villari includeva questa lettera al direttore del “Corriere della
sera” sui “fatti di Grammichele”, pubblicata il 4 settembre 1905, che
intitolava “Ancora sulla questione meridionale”:
“Onorevole
signor Direttore,
Il suo
gentile invito a dir qualche cosa sui fatti di Grammichele, dopo lungo giro, mi
è pervenuto assai tardi qui nella Svizzera. Non le nascondo che, sulla
questione meridionale, io sono divenuto alquanto sfiduciato e scettico. Ne
scrissi fin dal 1860 nella Perseveranza, continuai colle
Lettere meridionali nell’Opinione, con molti articoli nella Rassegna
settimanale, con un gran numero di opuscoli e discorsi. A che valse? A nulla
addirittura. Questo sarà stato, è vero, conseguenza del poco valore dei
miei scritti. Ma sulla stessa questione c’è una serie assai grande di
opuscoli, discorsi, volumi, non pochi dei quali, dopo lungo studio e serie
indagini, dettati da uomini autorevolissimi. Basta ricordare i nomi di
Franchetti, Sonnino, Turiello, Colaianni, Rudinì, Fortunato e moltissimi altri.
Ma, quello che è più, sulla stessa questione, che è in sostanza una questione
agraria, v’è stata la grande inchiesta parlamentare, che raccolse un vasto e prezioso
materiale. A che cosa ha giovato tutto ciò? Altrove una grande inchiesta serve
ad apparecchiare una grande riforma. Quale è la riforma agraria da noi fatta
dopo l’inchiesta? Se qualche proposta fu presentata, non ebbe neppur l’onore
d’una seria discussione in Parlamento…”
I fatti cui
il giornale e la lettera si riferiscono è l’eccidio operato dalle forze
dell’ordine, il 16 agosto 1905, di contadini e piccoli coltivatori
(tredici morirono sul colpo) che protestavano a Grammichele, in provincia
di Catania, contro le condizioni usurarie dei padroni e piccoli
prestatori che anticipavano le spese della coltivazione.
Nessun commento:
Posta un commento