Gli ayatollah agiscono anche nell’isolamento.
Sono soli nella guerra nello Yemen contro l’Arabia Saudita. Mentre Putin, che
ne ha favorito lo sviluppo nucleare, e ne è stato l’alleato decisivo in Siria
contro l’Arabia Saudita, ha poi sviluppato varie intese nella penisola arabica,
e ha interesse alla ripresa dei contatti con gli Stati Uniti – ha salvato l’Iran
in Siria per riprendere un contatto con gli Stati Uniti – per il rinnovo degli
accordi sul nucleare e per la rimozione delle sanzioni.
Gli ayatollah possono avere svilupapto
gli attacchi nello Stretto per costringere Trump a un accordo, dopo la sua denuncia
del trattato nucleare e l’inasprimento delle sanzioni. Puntando sulle remore del
governo americano a un’azione militare con la campagna elettorale già aperta. Ma
la rendono inevitabile. E gli angloamericani hanno la potenza, marittima e
aerea, per fare molto male all’Iran, senza dover arrivare a invasioni
disastrose come in Iraq o Afghanistan: un paese di grandi agglomerati urbani è
facile obiettivo aereo, e comunque un paese di 90 milioni di abitanti non può
reggere al blocco navale.
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