Le lettere del titolo, mai
spedite, sono ventuno invettive contro l’amministratore del conte di Waldstein
che lo ospitava a Dux in qualità di bibliotecario. “Lettere miserabili e
grottesche” le dice lo stesso Piero Chiara, casanoviano principe – che le
introduce. Qui proposte nell’originale francese con traduzione – le “Lettere”
sono coeve delle “Memorie”, che Casanova redige a Dux in francese. Di un
Casanova che sembra convenire, sul piano personale, col principe de Ligne, “Il est fier parce qu’il est rien”: “Io
sono come un nobile destriero”, si scrive ala lettera quindicesima, “che la
sfortuna ha costretto a vivere in mezzo a degli asini, e obbligato a soffrire
pazientemente i calci, poiché ho avuto bisogno di nutrirmi alla stessa greppia”.
Una versione senile –
intristita, lagnosa – della superbia casanoviana. Di un personaggio che molto
ha presunto di sé fallendole tutte. Qui si erige a nemico un Faulkircher - in
realtà Feltkirchner, un sottotenente in congedo con una pensione da invalido, e
lo stipendio del conte - che vede ovunque in ogni momento intento a dileggiarlo,
ai pasti, nei corridoi, con la servitù, con i vicini, con gli stessi padroni,
ladro per spregio anche dei libri preziosi che Casanova ha in custodia. Con
l’ossessione, fino a promuovere un giudizio col sindaco, del suo ritratto fatto
affiggere dal maggiordomo in più momenti sul cesso comune, con la merda.
Un autoritratto mesto,
involontario. Di un uomo irriso in vecchiaia, perfino bastonato, dice lui, anche
dai servi. L’ultima lettera è una smentita puntigliosa, in venti punti, delle
calunnie che sarebbero state sparse contro di lui.
Giacomo Casanova, Lettere a un maggiordomo, Edizioni
Studio Tesi, pp. 180 € 9,30
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