Dio s’incazza, si parla così,
e rimanda Gesù sulla terra – provvede una ragazza illibata del Middlewest.
Siamo cioè in America, un mondo di fumati, ubrichi, fricchettoni, obesi, tiratori,
singoli e in massa, tra montagne di cibi scaduti, innaffiate d’ammoniaca contro
il riutilizzo, e buchi nell’ozono. Un mondo che è il mondo – “Nascere è come
avere in omaggio un biglietto per uno spettacolo di freak”, Niven fa declinare
la filosofia a George Carlin, il vecchio comico Usa: “Nascere in America è come
avere una poltrona in prima fila”.
Dio è diverso – “Dio ama i
froci” è dappertutto. Soprattuto ce l’ha con i cattolici, che hanno fatto papa
un nazista, violentano i bambini, eccetera. E anche Gesù, “un ganzo
alternativo”. Ha una band, di
svalvolati, su a New York, la nuova Gerusalemme, tutti fumati. Con la quale
entra nel giro di un talent, l’“Amici”
americano, o “X Factor”. Qui si va veloci, Niven ne è o è stato uno specialista,
prima che narratore.
Gesù vince naturalmente,
suonando da dio, e compra una fattoria stile comune del Sessantotto, con
bambini e mucche indivisi. Semifinale alla Peckinpah, con gli sbirri
ammazzatutto. Ma Cristo non può non risorgere, e il finale è alla Perry Mason –
la giustizia restaurata, malinconica.
Un demenziale. Sul mondo bislacco
che ci ritroviamo. Scritto con gusto. Con alcune liste che avrebbero fatto
l’invidia di Eco: sui cattolici , le innumerevoli specie, sui protestanti, sui
tipi americani. Ma compiaciuto – il corretto dello scorretto. Per 400 pagine di
“cazzo” e “sticazzi”, per il divertimento probabilmente di Marco Rossati, il traduttore
– un traduttore per una volta in libertà.
John Niven, A volte ritorno, Einaudi, pp. 381 s.i.p.
(per Mondadori Wow Collection, due libri € 9,90)
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