“Enigmi del gusto e
consuetudini alimentari” è il sottotitolo. È la parte innocente delle ricerche
dell’antropologo americano, altrimenti famoso – per il “materialismo
culturale”, categoria da lui costruita sullo studio dell’alimentazione, per cui
gli Aztechi e altri cannibali sopperivano con la carne umana alla carenza di
proteine.
Partendo dal principio che il cibo è “buono da pensare” se e perché
è “buono da mangiare”, e rovesciando il rapporto, indaga e racconta come e
perché mangiavamo gli esseri umani sugli altari e oggi l’hamburger. Perché
siamo, o siamo diventati, carnivori, qui non è tanto questione di proteine
quanto di digeribilità: all’intestino le diete di fibre pesano, preferisce
“alimenti di qualità elevate, poco voluminosi e rapidamente digeribili”. In
controtendenza, l’antropologo materalista non è vegano, al contrario: mangiare
meno carne, “fatto salvo il minor consumo di grasso animale e il colesterolo”,
non salva – “non può rispondere mai,in nessun luogo, a un’esigenza salutare”.
Non grandi novità. La guerra?
Un modo per limitare la popolazione quando le proteine scarseggiano. Il maiale interdetto? Mangia gli stessi cibi
degli uomini, e costa troppo – capre, pecore e bovini si nutrono d’erba e danno
lana e latte, oltre alla carne. Le vacche sacre in India? Una necessità
assoluta: senza non si potrebbe arare né mungere il latte. Ma Harris è miglior
divulgatore (narratore) che ricercatore: sa raccontare quello che mangiamo.
Marvin Harris, Buono da mangiare, Einaudi, pp.264 € 12
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