Una perfomance che ripetè alla giustizia sportiva. Tenendo fuori con
cura l’Inter, perché Moratti contava nella Milano che conta. Sempre con lo stesso
manipolo di fedeli esecutori nella polizia giudiziaria, scelti nella Guardia di
Finanza – gli stessi con i quali aveva disposto migliaia di perquisizioni, a
nessun fine se non spettacolare.
Inutile ripercorrerne i fasti.
L’uso di un giudice, Di Pietro, che confessava (sul “Corriere della sera”) di
avere intascato cento milioni da un suo inquisito e di averglieli restituiti in
una scatola da scarpe. Salvo liquidare –
senza più l’andreottiana prudenza – a male parole lo stesso quando pensò di
mettersi con Berlusconi invece di perseguirlo. Il concilio quotidiano con
Scalfaro, col falso avviso di reato a Berlusconi alla vigilia del congresso
internazionale sulla criminalità. Le “guerre per gli spazi” che la sua Procura alimentò
per quasi un decennio nel palazzo di Giustizia di Milano – fino ad avere il
doppio dei cessi dei Tribunali e delle Corti d’assise e d’appello messe assieme.
Un uomo che ha distrutto la
politica, e ha distrutto anche la magistratura. Passata dal fascismo degli
ermellini al basso intrigo, da napolatene vaiasse.
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