lunedì 29 luglio 2019

La resurrezione di Roma

Titolo profetico? No, ma se non altro incoraggiante – mai disperare.
Titolo vecchio, di una delle poche opere di Chesterston che non si ristampano. Perché sa un po’ di sacrestia. O perché parla bene, non ne parla male, del fascismo e di Mussolini – è un libro del 19 Ma nelle due materie si recupera di molto peggio. Senza l’interesse che comunque Chesterston sa suscitare.
Opera tarda e anche minore, riscoperta in anni recenti - in Italia è invece stata tradotta molto tempo fa, nel 1950, ma quasi in incognito, e presto irreperibile. Un reportage di viaggio dello scrittore inglese, pieno di apprezzamenti, nella capitale italiana. Dove scendeva allo Hassler Villa Medici. Di tanti viaggi: “È insensato andare a Roma se non si possiede la convinzione di tornare a Roma”, è sua citazione famosa – forse perché non si sa che cosa significhi. Il più importante fu nel 1929 per la beatificazione dei Martiri Inglesi- l’anno dopo pubblicò il libro. Nell’occasione ebbe due incontri importanti, come Mussolini e con Pio XI, incontri in cui fece scena muta, racconta, perché Mussolini parlava solo lui e il papa lo intimidiva.
Anche Roma lo intimidiva, ma ne scrive per 360 pagine. Avrebbe potuto scriverne un libro, scrive, anche solo guardando dalla sua finestra in albergo. “Roma”, conclude con altro detto famoso, “è troppo piccola per la sua grandezza, e troppo grande per la sua piccolezza”.
La trattazione è eccezionalmente prolissa. Ma i paradossi non mancano. Roma è la città delle fontane, che corrono dal basso in alto: simbolo delle cose segrete, che zampillano dal basso verso l’alto. Roma è piena di tombe, che però sono piene di vita. I monumenti e le immagini mortuarie “non si trascinano il sapore della mortalità ma piuttosto dell’immortalità”. E non è un posto dove torniamo al passato, ma dove il passato torna al presente.
Molte pagine della “Resurrezione di Roma” sono sulla santità, la teologia, e i nemici della chiesa. Chesterston è stato e resta scrittore influente nella chiesa di Roma: “I ultimi due Papi”, ha scritto una diecina d’anni fa “L’Osservatore Romano”, “hanno molto apprezzato gli scritti di Chesterton, si può dire che egli sia stato uno scrittore «ratzingeriano» per la sua difesa della ragione, ma anche tomista come Giovanni Paolo II”. La “resurrezione”, nella prospettiva ascensionale adottata per Roma, vide nella basilica di San Clemente, che anch’essa si trasforma crescendo in altezza: dal Mitreo al soprastante horreum, magazzino-granaio, sul quale una basilica paleocristiana è stata edificata, e sopra di essa quella attuale del secolo XII. La chiesa prospettando come moto ascensionale, dalla terra al cielo. Anche per la continuità dei culti, da Mitra a Cristo. Per il bisogno inesausto di più luce.
Quanto al fascismo, Chesterston critica, anche con durezza, la dittatura. Col solito schema logico “browniano”, del rovesciamento: “Risponde all’appetito di autorità senza dare chiaramente l’autorità per l’appetito”. L’elogio è del resto anch’esso a doppio senso. Il fascismo può aver messo ordine nello Stato, ma non può durare se non mette ordine nella mente. E “può zittire i ribelli nella pratica, ma invita alla ribellione in principio”.
La chiesa è romana. Anche “le vesti del sacerdote all’altare sono essenzialmente le vesti di un uomo dell’antica Roma e persino della Roma pagana”.  Contro il “goticismo” protestante, “non credo che il papato ebbe torto quando, una volta deciso di andare incontro alla natura umana nel campo delle cerimonie, fissò un cerimoniale splendido. Non vedo quale vantaggio sarebbe derivato da un cerimoniale meschino o indeterminato o di infimo grado o logoro”.
Molto è sull’iconofilia della chiesa, a cominciare dai primi papi che vollero le statue, anche loro, dei predecessori: “Sono in una città affollata di chiese e ogni chiesa è affollata di statue. Le vie sono sbarrate da fontane circondate da tritoni e sormontate da santi. Ma è specialmente nelle grandi chiese disegnate come templi classici che troviamo quell’esuberanza del realismo classico ricco di tutto fuorché di classica serenità”.

Sa che questa esibizione di bellezza urta molti: “Per certuni, e specie per coloro che amano il nordico misticismo del gotico, questi marmi tumultuosi e multiformi hanno qualcosa di opprimente e perfino di ripulsivo e quasi insopportabile”. Ma non si ascia intimidire dalle apparenze: è una “splendida volgarità”, contro “la malsana purità e quella raffinatezza ultraterrena tanto più blasfeme del virile materialismo di san Tommaso che Cristo onorò in una prova”». Grazie alla «”eggerezza latina… è perfettamente cattolico” considerare Maria come la seconda Eva ma anche la seconda Venere: “Essa comprende tutta l’umana tragedia della caduta e della infruttuosa ricerca pagana della felicità”. 
“La Resurrezione di Roma” Chesterston dedicava a Charles Scott Moncrieff, “che combatté per l’Inghilterra e sperò così tanto per l’Italia\ e morì come un soldato romano\ a Roma”. Traduttore di riferimento di Proust in inglese, “Alla ricerca del tempo perduto” avendo traslato con lo shakespeariano “Remembrance of Things Past”, titolo canonico nella traduzione inglese fino a recente. Protagonista di note disavventure omosessuali, Moncrieff era morto a Roma da poche settimane di cancro all’Ospedale del Calvario, la clinica delle suore dell’ordine del Calvario.
G.K.Chesteston, The Resurrection of Rome, free online 

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