Si scopre, dopo cinquant’anni, che c’è
in Italia una mafia nigeriana attiva. Nella prostituzione, nello spaccio al
minuto, nel traffico di uomini, soggetti a pizzo e soprusi, e nel commercio
ambulante, sulle spiagge, nella aree turistiche e attorno ai mercatini. Lo scopre
la Procura di Bologna in Emilia, Lombardia e Pimonte – non in Toscana, non nel
Lazio,dove pure è più fiorente. Grazie a un pentito. Che ha fatto scoprire pure
la “bibbia dei clan, un libro di regole e rituali”, dicono gli inquirenti
soddisfatti.
Se non è scritto, confessato da un
pentito, il crimine non esiste? Lo spaccio è pubblico, con giovani che vi sono
avviati magari per non avere pagato – non si paga mai abbastanza - il viaggio
cosiddetto della disperazione. I boss nigeriani dello spaccio minuto sono noti
a tutti i grossisti calabro-siculi del settore, pagatori inappuntabili, ma non
alla polizia. Così come quelli del commercio ambulante a tutti i grossisti campani.
La prostituzione è pubblica da almeno mezzo secolo. Con un traffico ben noto agli
abitanti di Prati a Roma, a via Terenzio, al consolato nigeriano, di documentazioni
virtuose per le donne. E un arrolamento pubblico, con tanto di avvisi
commerciali, a Kano e in altre città nigeriane, documentato dalla stampa
americana.
Ma come fa – qualche aspetto ancora non
è conosciuto – una mafia nigeriana a prosperare in Italia, paese non finitimo e
anzi lontano qualche migliaio di miglia? Dove si arriva solo con l’aereo e col
visto regolare? Questo si saprà fra cinquant’anni, che c’è un commercio di
visti?
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