“La sinfonia” è il terzo di
una tetralogia erotica, gay, dopo “Un
giovane americano”, 1982, un ragazzo del Midwest, considerato testo di
fondazione per il sottogenere, e “La bella stanza è vuota”, 1988, quando il ragazzo
provinciale si sposta a New York, e prima di “The married man”, 2000,
considerato un tradimento. Il più letto e ristampato probabilmente perché il
più lungo e denso di incontri e eccessi sessuali pre-Aids, il primo molto
esplicito. Un “De Profundis” a leggerlo ora, all’epoca della continenza
monogamica, e anzi del bisogno di coppia chiusa, di matrimonio. All’epoca no,
gay era il rifiuto della coppia e il sesso “libero” – occasionale, gratuito,
anche se a pagamento. White ne fa la celebrazione, in un senso e nell’altro:
degli accoppiamenti furiosi a ripetizione, e della morte, che presto interviene
epidemica.
Tutta la fiction di White è
autobiografica: “Ragazzo di città”, “My lives”, “Hotel de Dream”. E in parte
anche il romanzo del debutto, “Forgetting Elena”, e il successivo “Nocturnes
for the King of Naples”, non tradotti. Questo è anzi il brogliaccio, più breve,
un terzo, della “Sinfonia degli addii”: si muore anche lì, seppure non di Aids,
e si fa bohème, lì a Napoli, in Spagna e in una cadente farm americana,
come qui a Roma, Parigi, Venezia. E sempre a New York, nel Village più o meno
sordido, sui moli, tra i tir. Sempre ugualmente sfrenata, ma sordida.
Lo humour in cui White eccelle non cancella il disagio. Si vorrebbe il Frank Harris della gaytudine, White è pur sempre il coautore delle “Gioie dell’amore gay”, manuale pornopratico. Ma non gioioso: ossessivo. Grigio. Sulla linea si vorrebbe di Norman Douglas e poi di Isherwood, ma con gli eccessi e le flagellazioni che poi saranno degli epigoni, Busi in testa. Il vecchio amore senza nome come disamore.
Lo humour in cui White eccelle non cancella il disagio. Si vorrebbe il Frank Harris della gaytudine, White è pur sempre il coautore delle “Gioie dell’amore gay”, manuale pornopratico. Ma non gioioso: ossessivo. Grigio. Sulla linea si vorrebbe di Norman Douglas e poi di Isherwood, ma con gli eccessi e le flagellazioni che poi saranno degli epigoni, Busi in testa. Il vecchio amore senza nome come disamore.
White era professore, a Yale
e Princeton. E la “Sinfonia” un po’ costruisce: i suoi personaggi muoiono l’uno
dopo l’altro, lasciandolo solo, come succede a Ismaele, il celebre
sopravvissuto al naufragio. La “Sinfonia degli addii” è quella di Haydn, in cui
gli strumenti a uno a uno si spengono (l’uso è – era - che i settori
orchestrali, a turno, soffino sulle candele che hanno vicino, ed escano) fino a che due soli violini restano a
incoraggiarsi. In White resta solo uno, l’autore. Avendo scelto però di “non
essere uno storico, ma un archeologo dei pettegolezzi”. Lo annota in calce a
una scena cui assiste a Princeton, in casa di Nina Berberova: l’arrivo di un
pacco dall’Urss, con una lettera di Lily Brik e uno Chanel N.5 in omaggio,
costosissimo a Mosca e forse di
contrabbando, in ringraziamento per la lettura delle memorie appena pubblicate
a Mosca in cui Berberova difende la memoria del marito di Lily, il poeta Khodasevic
- strenuo critico di Majakovskij, fiamma mai spenta di Lily. Molti i
ritratti e le celebrazioni di defunti in vita, sempre con occhio ironico,
diciamo con humour. Con apparizioni
di Tennessee Williams, Foucault, Burroughs, la pittrice Lee Krasner, che ogni
volta s’incontra come “la vedova di Jackson Pollock”, e vari registi di
Broadway, probabilmente tutti quelli gay, oltre che di Berberova. E, a chiave,
vari personaggi reali: il musicista Virgil Thomson (“Homer”), i poeti Howard
Moss (“Tom”) e James “Jimmie” Merrill (“Eddie”, il “poeta milionario”), i
critici David Kalstone (“Joshua”) e Max Richards (col suo nome).
Brillante, ma alla fine
sinistro. E non per la cornice dell’Aids - si muore pochissimo in realtà. È
un’autobiografia sessuale compiaciuta ma senza gioia. Ripetitiva. Claustrofobica
anzi. L’omosessualità è solo sesso, e quindi inappagata – è una addiction.
Più nella promiscuità, la cui natura è l’indifferenza , la riproduzione
dell’atto quasi in automatico. Qui nella terza fase del ciclo “archeologico del
pettegolezzo”: quello glorioso, meglio nella dark room, al buio, o
di rapporti con partner invisibili, dietro pareti. “Più ci grattavamo, più
sentivamo prurito”, dice il professore
ironico. Monomaniaco, col “bisogno di centinaia di uomini ogni anno”, e
non in senso rabelaisiano, dell’esagerazione. Malgrado “centinaia” di malattie
sessuali, dolorose. Come se ci fosse un lato oscuro dell’amore gay, il dominio
– sadomaso – incontrollato. White stesso è convinto, anche tardi, anche come
coautore di “Le gioie del sesso gay”, che l’atto “fosse un rito freddo e
premeditato che prometteva la trascendenza, ma certo non affetto” – per
trascendenza intende l’orgasmo. Di Brice, il suo quasi sposo di sei mesi, in
memoria del quale decide di scrivere la “Sinfonia”, al modo di Genet quando
scrisse “Nostra Signora dei Fiori”, ha “una terribile amnesia” - di fatto ne
parla per poche righe, la fine drammatica in Marocco. Fa l’amore pure al
telefono, quando usarono le linee chat negli anni 1980 dopo l’Aids. Contro
Genet sostiene che “l’omosessualità esibita perde sapore”, ma è quello
che fa. Con alcool sempre e ogni tipo di droghe, anfetamine, popper, erba,
acido, pasticche.
Per il resto, si fanno i
conti con la madre, come ogni buon gay in analisi, accettata\rifiutata. E con
il padre, rifiutato\accettato. Un volumone di sesso incontinente, sotto il velo
del lutto per la morte dell’amico, anche con lo scolo ricorrente. Anche quando
l’altro ha un nome – l’atto è sempre lo stesso, con lo stampo. Di gelosia nelle
forme più spicce (brute non si può dire) del possesso. Come una liberazione, ma
in un mondo già tutto gay, monoaurale. Anche se di una vita gay ridotta
all’improsatura: chi è “al comando” - il desiderio è “sempre statico, e
intento a immobilizzare l’altra persona”. Nell’indifferenza: il gay si vuole
“narcisista e senza relazioni”.
La liberazione, attorno al
“famoso conflitto (rivolta) di Stonewall”, è questa: “La lingua era sospetta,
la protesta imperativa, la tribù tirannica, l’amore morente”. Il professore
c’è.
Edmund White, La sinfonia degli addii, Playground,
pp. 630 € 24
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