Duino
–
Rilke, ospite nel 1912 della principessa Maria della Torre e Tasso, avviò la
composizione delle “Elegie duinesi” – che poi dedicò alla principessa, nata
Hohenlohe, una delle sue maggiori benefattrici. Nel castello dei Thurn und
Taxis, da poco italianizzati, praticò l’occultismo, i poteri medianici, la
negromanzia, di cui la principessa era ghiotta. Tuttora Duino ospita convegni,
anche all’insegna di Rilke, per cerchie ristrette, convegni quasi
segreti.
Editoriali
- Canetti
immagina, “Il libro contro la morte”, 70, che alla morte di “un celebre
giornalista… si sono trovate tra le sue carte postume dodici casse piene di
editoriali per gli ottant’anni a venire”.
Francese
–
Nella categoria Scrittore italiano di lingua francese (Écrivain italien
francophone) wikipedia include, con Brunetto Latini, Christine de Pizan, Casanova,
Goldoni ( morto a Parigi, a 86 anni, solo, cieco e povero, il commediografo che
Voltaire aveva consacrato “il Molière italiano”),l’abate Galiani Joseph de Maistre, Marinetti, anche
Apollinaire, Palazzeschi e Ungaretti. E Cesare Battisti (terrorista).
Freud
–
“Un razionalista di vecchio conio” lo dice Lou Andreas-Salomé, che lo studiò e
lo frequentò, da lui apprezzata, in “Sguardo sulla mia vita”.
Gelosie
–
Corrono tra i letterati come tra tutti i mestieri – “quelli dello stesso mestiere
si disprezzano d’ordinario l’un l’altro” è proverbio classico persiano.
Hamsun
–
Incontrato a Parigi nel 1894 da Lou Salomé con altri intellettuali scandinavi,
è da lei ricordato in “La mia vita” “somigliante allora a un dio greco”.
Intercultura
–
Alì, il barista d’angolo di Francesco Pecoraro in “Lo stradone”, “ragazzo
egiziano vivace”, “colto”, “con cui potevi parlare di tutto”, “aveva fatto il
liceo in Egitto e voleva iscriversi in un’università italiana”. Un giorno Alì
spiega all’autore “che la scuola egiziana non insegna nulla della filosofia
occidentale che vada oltre Aristotele”. E questo appare giusto a Pecoraro – “se
ci rifletto è logico”. Ma gli dà anche “la misura dell’estraneità delle due
culture, la nostra e la loro”.
Nietzsche – Deve la sua
massima di vita, una sorta di divisa, a Mazzini, incontrato nel febbraio 1871:
“Vivere risolutamente\ la totalità, la pienezza e la bellezza”. Sono versi di
Goethe, i due ultimi della quinta e ultima strofa di “Confessione completa”, una poesia del
ciclo “Gesellige Lieder”.
L’incontro fu casuale – lo racconta fra i tanti anche Papini, in “24
cervelli”. Nella primavera del 1871, pochi mesi
dopo il completamento dell’unità d’Italia, su base monarchica, il neo esule Mazzini
e Nietzsche si trovarono a viaggiare insieme, nella stessa carrozza, in un
treno diretto a Lugano. Mazzini era una fisionomia nota, e Nietzsche ci attaccò
discorso. Fu Mazzini che citò Goethe, e i versi che poi Nietzsche avrebbe
memorizzato. Mazzini aveva 66 anni (sarebbe morto un anno dopo), Nietzsche 27. “Non
v’è uomo che io veneri come Mazzini”, scrisse Nietzsche all’amico Rohde dopo
l’incontro sul Gottardo.
Curiosamente, i loro destini
s’intrecciano, nel campo politico, dopo morti – e contro probabilmente le loro
intenzioni: Nietzsche fu strumentalizzato dal nazismo, Mazzini da Mussolini. Il
futuro Duce nel 1915, socialista interventista, avviava sul “Popolo d’Italia”
l’allontanamento dal socialismo con Mazzini: invocando la “libertà di tornare a
Mazzini se Mazzini dice alle nostre anime aspettanti la parola che ci esalta in
un senso superiore dell’umanità nostra”.
Roma – Autofagica la rappresenta
Pecoraro nel romano e romanesco “Lo stradone”. Quando Lenin ci passa un paio
d’ore, nel 1908, “è capitale di un paese povero e culturalmente arretrato, ed è
ancora in costruzione. Lo sarà per altri cento anni. Si espande dopo mille e
cinquecento anni di contrazione dentro una cinta muraria divenuta troppo larga,
dove per secoli si è nutrita di sé stessa senza riuscire a consumarsi del
tutto”.
Selfie – “È molto più
dolce, per il cuore e per lo spirito, fare un romanzo che scrivere la propria
storia”, Madame de Genlis, donna di molte scritture tra Sette e Ottocento,
teatro, racconti, romanzi, saggi di pedagogia e storia, fa dire al suo alter
ego Natalie, “La femme auteur”. Anche perché, “componendo un romanzo, si può,
senza avere il vano progetto di fare il proprio ritratto, dipingersi vagamente
in mille modi”. Nel selfie, spiega in
dettaglio, “la dissimulazione è insieme un torto reale e un limite che
raffredda l’immaginazione, mentre la sincerità perfetta è sempre un’imprudenza,
e di solito una ridicolaggine. Infine, è difficilissimo parlare di sé con
grazia, interesse e dignità”.
Tedesco – È lingua di
elezione letteraria per molti nell’area balcanica, in Romania, Bulgaria, l’ex Cecoslovacchia.
Anche non ebrei: Canetti, Celan, Hertha Mueller, Kafka naturalmente. La russa
Lou Salomé non sapeva il russo, solo il tedesco.
Alcuni tedeschi però hanno scelto a un
certo punto, polemicamente, il francese, Heine su tutti e il tardo Rilke (austriaco
ma tedesco: “Ora Rainer”, scrive Lou Salomé nel 1934 a Rilke morto da otto
anni, “che noi tedeschi siamo politicamente confrontati al problema della
nostra appartenenza nazionale, mi domando a che punto la così viva ripugnanza
che avevi a essere austriaco possa essere stata nefasta al tuo destino”). Oltre
ai tanti balcanici, Ionesco, Éliade, Horia, Istrati, Cioran, Kristeva, Todorov,….
Trans-queer – È “la cultura
che, per fare largo alle «vere donne» - non le nate donne ma quelle che
scelgono di esserlo – impone una neolingua corretta: «buco davanti» invece di
vagina, «mestruatori» per donne…”, spiega Marina Terragni. Lo spiega muovendo
da “Big Little Lies” – “una delle più belle serie degli ultimi anni”.
Dall’episodio in cui Madeline, la madre protagonista, vorrebbe che la figlia
andasse all’università, ma la figlia recalcitra obiettando: “Tutto quello che
fanno al college è fumare, scopare e rimuginare sul cambio di sesso”.
Marina,
“femminista radicale”, che il matrimonio volle celebrato a suo tempo da Paolo Hutter,
leader gay, assessore per un breve periodo a Milano, lo spiega venerdì su “QN”,
il quotidiano nazionale conservatore. Ma il giorno dopo la stessa
preoccupazione, solo preoccupata e non sardonica, né materna ma psicologica e psicoanalitica,
è espressa sulla progressista “la Repubblica” da Lorena Preta, già direttrice
di “Psyche”, la rivista della Società Psicoanalitica Italiana, a proposito di “centinaia
e centinaia di adolescenti, o addirittura di bambini prima della pubertà”, che
“affermano di sentirsi in un corpo «sbagliato»… Aiutati da classi mediche
compiacenti ad attuare una «sospensione» della definizione sessuale tramite
medicine”. Oppure da “tecnici” (? specialisti?) che possano “avviarli a cure in
vista di un’operazione per la «riattribuzione di genere»”. Commentando regressiva:
“Come se a 6-10 anni, o anche da adolescenti, si potesse davvero dire: io mi
sento maschio in un corpo di femmina – o viceversa”.
letterautore@antiit.eu
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