lunedì 1 luglio 2019

Letture - 388

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Duino – Rilke, ospite nel 1912 della principessa Maria della Torre e Tasso, avviò la composizione delle “Elegie duinesi” – che poi dedicò alla principessa, nata Hohenlohe, una delle sue maggiori benefattrici. Nel castello dei Thurn und Taxis, da poco italianizzati, praticò l’occultismo, i poteri medianici, la negromanzia, di cui la principessa era ghiotta. Tuttora Duino ospita convegni, anche all’insegna di Rilke, per cerchie ristrette, convegni quasi segreti.

Editoriali - Canetti immagina, “Il libro contro la morte”, 70, che alla morte di “un celebre giornalista… si sono trovate tra le sue carte postume dodici casse piene di editoriali per gli ottant’anni a venire”.


Francese – Nella categoria Scrittore italiano di lingua francese (Écrivain italien francophone) wikipedia include, con Brunetto Latini, Christine de Pizan, Casanova, Goldoni ( morto a Parigi, a 86 anni, solo, cieco e povero, il commediografo che Voltaire aveva consacrato “il Molière italiano”),l’abate Galiani  Joseph de Maistre, Marinetti, anche Apollinaire, Palazzeschi e Ungaretti. E Cesare Battisti (terrorista).  

Freud – “Un razionalista di vecchio conio” lo dice Lou Andreas-Salomé, che lo studiò e lo frequentò, da lui apprezzata, in “Sguardo sulla mia vita”.

Gelosie – Corrono tra i letterati come tra tutti i mestieri – “quelli dello stesso mestiere si disprezzano d’ordinario l’un l’altro” è proverbio classico persiano.

Hamsun – Incontrato a Parigi nel 1894 da Lou Salomé con altri intellettuali scandinavi, è da lei ricordato in “La mia vita” “somigliante allora a un dio greco”.

Intercultura – Alì, il barista d’angolo di Francesco Pecoraro in “Lo stradone”, “ragazzo egiziano vivace”, “colto”, “con cui potevi parlare di tutto”, “aveva fatto il liceo in Egitto e voleva iscriversi in un’università italiana”. Un giorno Alì spiega all’autore “che la scuola egiziana non insegna nulla della filosofia occidentale che vada oltre Aristotele”. E questo appare giusto a Pecoraro – “se ci rifletto è logico”. Ma gli dà anche “la misura dell’estraneità delle due culture, la nostra e la loro”.

Nietzsche – Deve la sua massima di vita, una sorta di divisa, a Mazzini, incontrato nel febbraio 1871: “Vivere risolutamente\ la totalità, la pienezza e la bellezza”. Sono versi di Goethe, i due ultimi della quinta e ultima strofa  di “Confessione completa”, una poesia del ciclo “Gesellige Lieder”.
L’incontro fu casuale – lo racconta fra i tanti anche Papini, in “24 cervelli”. Nella primavera del 1871, pochi mesi dopo il completamento dell’unità d’Italia, su base monarchica, il neo esule Mazzini e Nietzsche si trovarono a viaggiare insieme, nella stessa carrozza, in un treno diretto a Lugano. Mazzini era una fisionomia nota, e Nietzsche ci attaccò discorso. Fu Mazzini che citò Goethe, e i versi che poi Nietzsche avrebbe memorizzato. Mazzini aveva 66 anni (sarebbe morto un anno dopo), Nietzsche 27. “Non v’è uomo che io veneri come Mazzini”, scrisse Nietzsche all’amico Rohde dopo l’incontro sul Gottardo.
Curiosamente, i loro destini s’intrecciano, nel campo politico, dopo morti – e contro probabilmente le loro intenzioni: Nietzsche fu strumentalizzato dal nazismo, Mazzini da Mussolini. Il futuro Duce nel 1915, socialista interventista, avviava sul “Popolo d’Italia” l’allontanamento dal socialismo con Mazzini: invocando la “libertà di tornare a Mazzini se Mazzini dice alle nostre anime aspettanti la parola che ci esalta in un senso superiore dell’umanità nostra”.

Roma – Autofagica la rappresenta Pecoraro nel romano e romanesco “Lo stradone”. Quando Lenin ci passa un paio d’ore, nel 1908, “è capitale di un paese povero e culturalmente arretrato, ed è ancora in costruzione. Lo sarà per altri cento anni. Si espande dopo mille e cinquecento anni di contrazione dentro una cinta muraria divenuta troppo larga, dove per secoli si è nutrita di sé stessa senza riuscire a consumarsi del tutto”.

Selfie – “È molto più dolce, per il cuore e per lo spirito, fare un romanzo che scrivere la propria storia”, Madame de Genlis, donna di molte scritture tra Sette e Ottocento, teatro, racconti, romanzi, saggi di pedagogia e storia, fa dire al suo alter ego Natalie, “La femme auteur”. Anche perché, “componendo un romanzo, si può, senza avere il vano progetto di fare il proprio ritratto, dipingersi vagamente in mille modi”. Nel selfie, spiega in dettaglio, “la dissimulazione è insieme un torto reale e un limite che raffredda l’immaginazione, mentre la sincerità perfetta è sempre un’imprudenza, e di solito una ridicolaggine. Infine, è difficilissimo parlare di sé con grazia, interesse e dignità”.  

Tedesco – È lingua di elezione letteraria per molti nell’area balcanica, in Romania, Bulgaria, l’ex Cecoslovacchia. Anche non ebrei: Canetti, Celan, Hertha Mueller, Kafka naturalmente. La russa Lou Salomé non sapeva il russo, solo il tedesco.
Alcuni tedeschi però hanno scelto a un certo punto, polemicamente, il francese, Heine su tutti e il tardo Rilke (austriaco ma tedesco: “Ora Rainer”, scrive Lou Salomé nel 1934 a Rilke morto da otto anni, “che noi tedeschi siamo politicamente confrontati al problema della nostra appartenenza nazionale, mi domando a che punto la così viva ripugnanza che avevi a essere austriaco possa essere stata nefasta al tuo destino”). Oltre ai tanti balcanici, Ionesco, Éliade, Horia, Istrati, Cioran, Kristeva, Todorov,….

Trans-queer – È “la cultura che, per fare largo alle «vere donne» - non le nate donne ma quelle che scelgono di esserlo – impone una neolingua corretta: «buco davanti» invece di vagina, «mestruatori» per donne…”, spiega Marina Terragni. Lo spiega muovendo da “Big Little Lies” – “una delle più belle serie degli ultimi anni”. Dall’episodio in cui Madeline, la madre protagonista, vorrebbe che la figlia andasse all’università, ma la figlia recalcitra obiettando: “Tutto quello che fanno al college è fumare, scopare e rimuginare sul cambio di sesso”.
Marina, “femminista radicale”, che il matrimonio volle celebrato a suo tempo da Paolo Hutter, leader gay, assessore per un breve periodo a Milano, lo spiega venerdì su “QN”, il quotidiano nazionale conservatore. Ma il giorno dopo la stessa preoccupazione, solo preoccupata e non sardonica, né materna ma psicologica e psicoanalitica, è espressa sulla progressista “la Repubblica” da Lorena Preta, già direttrice di “Psyche”, la rivista della Società Psicoanalitica Italiana, a proposito di “centinaia e centinaia di adolescenti, o addirittura di bambini prima della pubertà”, che “affermano di sentirsi in un corpo «sbagliato»… Aiutati da classi mediche compiacenti ad attuare una «sospensione» della definizione sessuale tramite medicine”. Oppure da “tecnici” (? specialisti?) che possano “avviarli a cure in vista di un’operazione per la «riattribuzione di genere»”. Commentando regressiva: “Come se a 6-10 anni, o anche da adolescenti, si potesse davvero dire: io mi sento maschio in un corpo di femmina – o viceversa”.

letterautore@antiit.eu

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