lunedì 8 luglio 2019

Letture - 389

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Celan – A Canetti non piace, per un motivo: “Celan martire”, scrive nel 1990, per il revival del poeta sucida a Parigi vent’anni prima, “non mi ispira che repulsione”. Perché viene avvicinato a Lenz. Mentre, “come era abile, Celan – i suoi diversi paesi di accoglienza, una successione di bozzoli cui si estrae invariabilmente una creatura sempre più esigente. Come Lenz era maldestro, disperatamente maldestro. Ma nessun suicidio saprebbe darla a bere fino a impedirci di vedere a che punto la situazione di Lenz era miserabile e a che punto quella di Celan era onorevole”.
Di Lenz, Jakob, il letterato di fine Settecento tra i promotori dello Sturm und Drang, traduttore di Pope e Shakespeare,  colpito presto da disturbi mentali che lo ridussero in Svizzera e nella nativa Lettonia, infine in povertà è solitudine a Mosca, dove morì a 40 anni, nel 1792, Canetti nota: “Quante volte ho copiato questo ripugnante necrologio” della “Allgemeine Literaturzeitung”, maggio 1792: “Morì compianto da poche persone e non mancando a nessuno”, etc….“Questo infelice letterato non sarà il meglio del suo tempo a occupazioni inutili e senza scopo reale….”
Terribile la chiosa ultima di Canetti: “Tuttavia: l’assassina accanita, Claire Goll, non potrebbe essere messa da parte”. Claire Goll era la moglie del poeta Yvan Goll, che nel 1953 aveva promosso contro Celan un processo con gravi accusa di plagio – una causa da cui Celan uscirà vincitore, ma minato nella psiche.

Dante – “Dobbiamo all’immaginazione molto cristianamente pervertita di Dante la prima descrizione esatta di un campo di concentramento ben organizzato”, Arno  Schmidt. La Germania ha solo perso la guerra - la Colpa è collettiva, nel senso dell’Occidente, della cristianità, del mondo intero.

“Si pensi alle figure di Dante che sono di una chiarezza tale che ci si cancella davanti a esse. Non ci si può sottrarre, sono semplificate in modo da preservare l’essenziale” – Elias Canetti, nel corso delle sue elucubrazioni “contro” la morte”, rivede plasticamente la “Commedia”: “O è lui che ci forza a considerare la sua visione di essere come l’essenziale? Viene dalla morte il suo potere di persuasione. Le sue figure sono così straordinariamente vive perché sono morte”. Un pensiero che lo consola: “È la più straordinaria vittoria sulla morte che si possa immaginare”.

Goethe – Canetti a un certo punto lo vede sferico, richiuso su se stesso: “Ciò che sembra frequentemente noioso in Goethe: è sempre intero” - “Il libro contro la morte”, 168. L’immagine Canetti ha nel 1967 di un Goethe circolare, anzi sferico: una palla chiusa su se stessa: più avanza in età, più diffida dei moti passionali… Non marcia su trampoli, ma riposa rotondamente su se stesso, come un immenso globo terrestre, e per appropriarsene bisogna girare come una piccola luna attorno a lui, un ruolo umiliante”.
Ciò sembra inevitabile, Goethe essendo rimasto produttivo per tutta la vita. Ma il Goethe sferico  Canetti non lo dice un limite: “Non vi dà la forza di essere audace ma quella di durare, e non conosco altro grande poeta a prossimità del quale la morte resta così a lungo nascosta” – la morte che tutta la vita Canetti s’impegnò a cancellare.

Kipling – È per  tennisti a Wimbledon, che all’entrata del tunnel dagli spogliatoi ai campi sono accolti da due versi di mezzo di “If”, “la poesia più popolare dell’Inghilterra”: “If you can meet with triumph and disaster\ and treat those two impostors just the same” - nella traduzione di Gramsci: “Se, imbattendoti nel successo o nel disastro, tu tratti questi due impostori allo stesso modo”…

Cancellato – sempre con “If” – all’università di Manchester per fascismo o razzismo, e sostituito con una poesia di Maya Angelou, la poetessa, attrice e danzatrice afroamericana, “Still I rise”. La stessa Angelou che nella poesia “I know why the caged birds sings” scrive di sé giovanetta che “le piaceva e ammirava Kipling”, e specialmente “If”. “Still I rise” è in effetti modellata su “If”.

“If” è stato tradotto da Gramsci sull’“Avanti!”, edizione di Torino, il 17 dicembre 1916, proposta col titolo “Breviario per laici”.
In una nota dal carcere (“Quaderno 3 (XX) § (146), Gramsci dirà di Kipling: “La morale di Kipling è imperialista solo in quanto è legata strettamente a una ben determinata realtà storica. Ma si possono estrarre da essa immagini di potente immediatezza per ogni gruppo sociale che lotti per la potenza politica. La «capacità di bruciare dentro di sé il proprio fumo stando a bocca chiusa», ha un valore non solo per gli imperialisti inglesi”. Avviando la considerazione, situa Kipling in una prospettiva critica: “Potrebbe, l’opera di Kipling, servire per criticare una certa società che pretende ai essere qualcosa senza avere elaborato in sé la morale civica corrispondente, anzi avendo un modo di essere contraddittorio coi fini che verbalmente si pone”.

È “americano”. “If”, la poesia, Kipling aveva utilizzato in un primo tempo come epilogo a un racconto su George Washington e la sua resistenza all’opinione pubblica. Viaggiò a lungo negli Stati Uniti. Si recò a Elmira, nello stato di New York, per omaggiare Mark Twain. Fu amico di William James, e ammiratore di Ralph Waldo Emerson, del suo concetto di “self-reliance”, auto-disciplina. Fu amico di Theodore Roosevelt. Sposò un’americana, ed ebbe figli americani. Si costruì casa a Brattleboro, nel Vermont, completa di campo da tennis – il primo del Vermont. Dove scrisse “Il libro della giungla” e “Capitani coraggiosi”. Ma ci visse solo quattro anni: poi litigò col cognato per motivi d’interesse, e con gli Stati Uniti, per una contesa aperta dal presidente Cleveland con la Gran Bretagna sui confini del Venezuela (un pretesto: Cleveland pensò di accattivarsi il voto irlandese con una posa un po’ antibritannica).   

Mahler – “A. disprezzava Mahler perché era impotente”, Canetti, “Il libro della morte”, 1990. A.(lma) da Mahler aveva avuto due figli.
“A. disprezzava Werfel perché a lui piaceva essere tradito da lei”. Questo è possibile – non si sa molto di Werfel. Ma A. perché si metteva sempre con uomini che disprezzava? Le virago erano in voga nel primo Novecento – anche dopo: i fascistoni si facevano fare dalle “contesse”.

Marco Polo – È dunque croato – come Caporetto è slovena? Per essere di Curzola, che con la guerra perduta è passata con tutta la Dalmazia alla Croazia. Nascita e morte sono attestate a Venezia, il matrimonio pure, la sepoltura pure. Ma perdere la guerra è un’altra storia. Del resto, non scrisse in francese?                                                                                                                           
Proust – Il ritratto più vero, forse anche reale, è di Ugo Ojetti (“Tantalo”) sul “Corriere della sera” del 23 febbraio 1923, in morte dello scrittore – che  “7” ripubblica venerdì 5. Ojetti e il giovane Proust vengono ammessi alla conversazione di Anatole France nel salotto parigino di Madame de Caillavet: “Accanto a me rispettosamente silenzioso stava un giovanotto pallido e bruno, gli occhi sporgenti, le ciglia lunghe e lucide, il collo sottile, una marsina con le spalle troppo larghe e con le maniche troppo lunghe che non sembrava la sua, la cravatta bianca un poco pesta e di traverso, lo sparato a onde”. France parlava a lui “più che agli altri. E quello taceva immobile in quel suo atteggiamento cascante. Mutava solo la posizione della testa, ora piegandola sulla spalla sinistra, ora sulla destra, come fanno gli uccelli”. France, la cui conversazione quella sera verteva su Cristo, se era stato o no un personaggio storico, a un certo punto interpella Proust. Che risponde: “Maestro, in questa discussione non è Gesù Cristo che m’interessa, è Anatole France”. Rivelando, chiosa Ojetti, “in due parole l’animo di tutti noi”.
Poi France li presenta. “Non so perché in quella presentazione nominò Venezia. Marcel Proust mi domandò, affabile ma distante: - Vous êtes vénitien? – Non, je ne suis pas vénitien.Mais d’où êtes-vous? – e mise nella domanda una punta d’impazienza verso lo straniero sconosciuto. Risposi modesto: - Je suis romain. – E lui: - Oh,c’est trop grand!

Svevo – Cercando nel 1992 un  posto al cimitero di Fluntern a Zurigo, quello di Joyce, Canetti, che ama il cimitero, è perplesso sulla vicinanza: “Non abbiamo molto in comune. Salvo, forse, l’amore che portiamo entrambi a Svevo, quello di Joyce distinguendosi per la sua notevole efficienza (incoraggiamento per Zeko) e per le sue conseguenze decisive (invito di Svevo a Parigi,la sua fama tardiva)”.


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