“Mozziconi” non ha nome. E
non ha un amico: non si identifica, uno come tanti. Ma è di forte carattere. Svuota
la casa, la baracca sotto l’Acquedotto Felice, buttando la roba per la strada,
abbatte i muri e le imposte, se ne va a vivere lungo il Tevere, sotto i ponti,
la città guardando dal besso, le giornate passando a riflettere, in dialogo con
i tanti sé, o qualche pesce sperduto fuor d’acqua, o uccello di passaggio. Gli
esiti trascrivendo su mozziconi di carta da giornale dei rifiuti, dentro le
bottiglie che lancia al fiume. Non un barbone – novello Diogene lo dice l’editore.
Viene dopo “Uccellacci e uccellini”, ma è puro Malerba, nonsense filosofico. Strampalato e concludente.
Mozziconi fa scoperte. C’è la
velocità della luce, e quella del buio? Lui la calcola, e gli viene uguale. Nel
corpo non ci sono linee rette – vero. E da dove viene allo zero questa forza di
distruzione, che gli fa annullare tutto? E chi lo ha inventato? “Pare che sia
una invenzione molto antica inventata dagli Arabi che erano furbissimi e anche
un po’ imbroglioni come tutti i popoli mercanti. Chiaro che si servivano dello
zero per imbrogliare la gente nei mercati. Ancora oggi bisogna stare attenti ai
mercanti levantini…”. E il mondo che va a petrolio? Anche la luce elettrica, la
televisione, le fabbriche.
A un certo punto, vivendo
solo, Mozziconi si stanca di pensare. Ma si accorge “che non pensare a niente è
sempre un modo di pensare, e anche piuttosto faticoso”. Era il tempo in cui si
favoleggiava degli Arabi che nel deserto si proteggono dal caldo con la lana, e
Mozziconi si adegua: col solleone resta ben coperto. Ma non si scioglie.
Finale a sorpresa. Si ride,
ma con filosofia.
Malerba non ha avuto un
interprete, ma è un Grosso Scrittore, uno che resta nelle macerie del Secondo
Novecento - Mozziconi on fa testo, Malerba lo avrebbe fatto.
Luigi Malerba, Mozziconi, Quodlibet, pp. 114 € 13
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