Un racconto bizzarro. Di un
ufficiale che ritrova, andando a caccia con un amico, la donna di cui si era
invaghito alla Beresina, la giovane moglie arcinobile di un rimbambito
generale, contessa e conte de Vandières, ora demente e per questo allontanata
in campagna. Affidata a uno zio medico, nella speranza che trovi qualche
rimedio. L’incontro porta al ricordo della rotta alla Beresina.
Un racconto terribile, senza
riguardi. Nelle masse sconvolte in ritirata “si uccideva per non essere uccisi”, per un niente, un
tascapane, una briciola. L’Armée è
una “massa di miserabili”, ladri, crudeli, selvaggi. i uccidono i cavalli per rosolarli, e si nuore di indigestione. Si affondano, per voler passare per primi, le chiatte e i pontoni appena apprestati dai genieri - che sono morti per la eroica fatica.
La catastrofe umana della
ritirata dalla Russia Balzac riprenderà anche ne “Il medico di campagna”. Ma qui
non convince. Dettagliato e ripetitivo, ma mai dramamatico. Per lui per primo, che
inizialmente sottotitolò il racconto “Ricordi soldateschi”, poi lo incluse tra
le “Études philosophiques”, appellandosi alla sua curiosità di vecchia data per
la psichiatria, le sue pieghe e i suoi rimedi. Puntando sulla follia della
giovane contessa salvata, poche pagine, invece che sulle lunghe pagine della
rotta. Dentro le quali il conte e la contessa solo appaiono incongrui, per non
dire ridicoli. Mentre negli anni intercorsi tra la rotta e il ritrovamento la
contessa è solo detta “trascinata, per due anni, al seguito dell’esercito, pupattola
di un mucchio di miserabili”.
Che pensarne? Balzac è sempre
molto tirato via – si legge per questo, un socio-psicologo all’ingrosso? Uno studio, se proprio lo si vuole, del modo di scrivere di Balzac, un selfie critico.
Honoré de Balzac, Addio, Rubbettino, pp. 100 € 7
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