I Comuni non
hanno terreni dove costruire tombe. E non hanno nemmeno loculi, se non con
lunghe file d’attesa e a prezzi scoraggianti, per periodi sempre più corti.
Non
è una delle tante imprevidenze delle amministrazioni. Dev’essere una politica,
seppure non detta, di cui le imprese funebri si fanno dapprima portatori: l’incinerazione.
Una fine che la Cina di Mao ha avviato e imposto - uno dei suoi punti di attrito più duri
col mondo contadino e con la Cina profonda, fondata sulla famiglia. La cosa è
andata avanti, e si studia ora una incinerazione a freddo: un po’ di corrente
elettrica e il corpo scompare, senza più forni. Lo vuole anche la morale corrente,
della cancellazione dell’umanità. E chissà, dei figli che non vogliono spendere per i genitori,
uno spreco che altro? – normalmente sono i genitori che muoiono, gli zii, i nonni.
Dove
terreni sono disponibili, è anche vero, i prezzi a mq. di suolo edificabile
sono da Piccadilly, o da Manhattan. E le costruzioni pure - benché tutte obbligatoriamente secondo
modelli prestabiliti, e precostruiti, in omaggio a non si sa quale uguaglianza, roba in sé povera, solo mattoni e cemento. Uno sproposito – una forma di dissuasione – per non
dire no.
L’accumulazione attraverso la rendita urbana è il principio del
capitalismo, ma nel caso dei morti vi si rinuncia. Per una ragione? Non dev’essere
da poco – a parte il nichilismo che fa, pensa di fare, specie nei media, tanto
cultura.
Non
si vogliono più cimiteri, l’istituzione l’istituzione civile più lunga della
storia, collante comunitario e reagente della memoria e della storia. Per un
mondo provvisorio, senza passato.
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