“Scrivere lo spavento di
scrivere”, la solitudine, la follia. E per lei, personalmente, “il pensiero
libero, folle” di un Blanchot. Marguerite Duras si esamina in fine, esamina la
follia di scrivere, e si dà alcune risposte.
Tradotto venticinque anni fa
da Feltrinelli, e poi introvabile. Un racconto di alcuni film-video della
scrittrice agli ultimi fuochi, nel 1993. Con due divagazioni. Una su “puro” e
“purezza”, tra Cristo e Giovanna d’Arco, purezza rifiutata e punita, mentre
quella della Germania è applicata con crudeltà. E una sul pittore in atto di dipingere.
I tre testi-video sono: quello del titolo, “La morte del giovane aviatore
inglese”, e “Roma”. “La morte del giovane” è un tripudio di buoni sentimenti a
Vauville, ove il ragazzo pilota viene estratto con applicazione dalla carcassa
dell’aereo abbattuto, il suo nome viene rintracciato nelle pieghe della burocrazia, e la sepoltura è molto degna e sempre onorata. Un aneddoto vissuto
con tristezza, riportando alla memoria il fratello minore della scrittrice, “morto
durante la guerra del Giappone” e sepolto in una fossa comune, “gettato in una
fossa comune sopra gli ultimi corpi”.
“Roma” è il testo di un video
Rai (ora visibile su RaiPlay, “Il dialogo su Roma”), scritto in tempi molto
anteriori agli altri, nel 1980, e girato dalla stessa scrittrice nel 1982, con
Anna Nogara e Paolo Graziosi, che da piazza Navona in giro per Roma evocano
antiche civiltà e antichi amori, di una Regina di Samaria. Un’esercitazione
già classica di Fellini e Pasolini, ma nel genere durasiano, o à la Resnais, indiretto, allusivo.
“Scrivere” è il tema e il
testo centrale della piccola ultima raccolta. Duras ripercorre la
sua vita di scrittrice, i luoghi della sua scrittura, i personaggi dei suoi
libri e dei suoi film, e gli amanti, che spesso enumera, e riunisce, insieme,
questi di nessun effetto. Ma su un fondo di solitudine, ossessivo. E senza
tempo, senza contesto: “Ho raramente contato il tempo passato a scrivere, o il
tempo in sé. Ho contato il tempo passato ad aspettare Robert Antelme e
Marie-Louise, la sua giovane sorella. Dopo, non ho più contato niente” – una
dichiarazione d’amore unico, fra i tanti amanti e sposi, per il primo marito,
tradotto per motivi politici dalla Gestapo con la sorella nei lager tedeschi, da cui lei non tornò.
Scrivere è solitudine. E follia: “La solitudine è sempre accompagnata dalla
follia. Io lo so.” Che non si vede, “ma qualche volta si intuisce”. E non può
essere diversamente: “Quando si estrae tutto da sé, tutto un libro, si è per
forza nello stato particolare di una certa solitudine che non si può
condividere con nessuno”. Come sempre in Duras una profondità che a un secondo
riflessso esce piatta, ma crea un’atmosfera e un senso.
Un breviario, il testo del titolo, e una grotta delle meraviglie, un antro
da speleologo, per chi scrive: una serie di sorprese che si srotolano su se
stesse, l’antro essendo lo scrittore.
Marguerite Duras, Écrire, Folio, pp. 125 € 5
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