Determinismo – Il Battaglia e
il Petit Robert lo registrano ai primi dell’Ottocento. Viene come evoluzione,
più che del meccanicismo di d’Holbach, del fatalismo di Diderot. Di un po’
tutto Diderot, di cui la summa in “Jacques il fatalista” – è la costante delle
tante divagazioni. Jacques ama citare “il suo capitano”, il quale diceva che
tutto ciò che ci succede di bene e di male quaggiù è scritto lassù”, e che è
inutile porsi domande e fare propositi per l’avvenire, l’uomo non ne è in alcun
modo padrone. Un
“eroe”, specchio dell’autore, che professa costante il fatalismo: l’uomo è un
anello di una catena di cause necessarie e ignote, rinchiuso in un avvenire
insieme indeterminato e a lui imprevedibile.
C’è
più di una faglia nella libertà dell’illuminismo.
Genere – Diderot, certamente femminista, benché a suo modo, nel saggio “Sulle donne” e nella
narrativa, nello stesso saggio vuole una differenziazione netta: “Ho visto l’amore,
la gelosia, la superstizione, la collera portati nelle donne a un punto che l’uomo
non ha mai provato” – oggi probabilmente avrebbe ribaltato l’osservazione, in
costanza di femminicidi, ma avrebbe abbandonato la differenziazione?
Sempre
delle donne, sempre Diderot sostiene nello stesso saggio: “Esse hanno
conservato l’amor proprio e l’interesse personale con tutta l’energia della
natura; e…., più civilizzate di noi all’esterno, sono rimaste delle vere
selvagge all’interno, tutte machiavelliche, dal più al meno”. Col solito abuso
di Machiavelli, ma l’illuminismo era fatto in un certo modo.
Laicità - “La laicità assoluta opprime la fede”,
argomenta Charlea Taylor, l’autore del “Disagio della modernità”, a proposito di
una legge del Québec che proibisce ai dipendenti pubblici di indossare al lavoro simboli che possano
identificarne la religione. Certamente, ogni assoluto opprime. Ma la “laicità
assoluta” opprima anzitutto la laicità. Che non è una fatto di centri di potere
o logge.
Meritocrazia – Se ne
celebrano ancora i guasti, come cardine della società liberale. Ora anche in
una con la selettività politica cinese, del partito Comunista al potere, a
opera di Daniel A.Bell, “Il modello Cina. Meritocrazia politica e limiti della
democrazia”. Mentre il modello è sotto esame negli Stati Uniti, che lo hanno
imposto, e presenta molte crepe.
Del
modello cinese, avendo esso alimentato la crescita economica mondiale degli ultimi
trent’anni, si tende a trascurare il nodo principale: il regime di assolutismo
politico. Se ne elogia l’elasticità. Fino all’assunto di Bell, che la politica
tempera costruttivamente l’imprenditorialità e la managerialità, e che queste
sono controllate e selezionate politicamente, dal Pcc. La democrazia ne soffre,
sembra dire Bell, ma fin di bene, per una maggiore produttività e anche
democrazia sociale.
Non
è così. Un regime monocratico e anzi dittatoriale non ha precedenti nella storia
dei mercati, dei se non negli antichi
imperi a.C., che peraltro non erano mercati ma feudi. E non ha in sé la
stabilità che la democrazia pur vagando assicura – l’elasticità. Ma non è questo
il punto – la Cina è un “problema” ben più grosso che la meritocrazia.
Il
punto – in merito – è che la meritocrazia è selettiva. Senza controindicazioni,
né paletti.
Progresso – La
globalizzazione dell’economia ne mette a dura prova la freccia, con
l’impoverimento dell’area ricca e progressiva del mondo, l’Occidente, prometeica,
della razionalità costruttrice, dell’accumulo indeterminato-abile. L’entrata dell’Occidente,
che ne è l’anima, nella spirale dell’impoverimento, dei figli che stanno peggio
e molto peggio dei padri, e senza prospettive possibili di rilancio o ripresa,ne
mina il presupposto: che l’applicazione e la buona volontà tengano il progresso
in tensione, come una freccia che va dritta senza soste né deviazioni. La
globalizzazione è un progetto – e un diritto . concepito e applicato nella
stessa area del progresso che ora ne soffre i danni.
Riti – Sono paganesimo?
Si moltiplica nella chiesa cattolica nella sua vestizione protestante, dal
concilio Vaticano Secondo, e più col papato Bergoglio, l’insofferenza verso i
riti, bollati di paganesimo – e presto, è da supporre, per le immagini, dipinti
o statue. Ma cos’altro resta alla chiesa, di propriamente cattolico, se non la
ritualità, una forma d’immaginazione per tutti? Altrimenti si può essere cristiani
in pace a casa propria, al massimo in una comunità spoglia, giusto qualche
sedia per i più deboli.
Cancellare
la ritualità significa in realtà cancellare la religione. Non il colloquio
dell’io col suo Dio, ma il fatto religioso. Tribale o comunitario, perfino
identitario, tutto il peggio che se ne possa pensare, e tuttavia l’unica religione.
La teologia e la preghiera non hanno bisogno di chiese – di sacerdoti.
Vocabolario – Evolve col
tempo,come ogni cosa, ma si arricchisce o si impoverisce? Si direbbe che si
arricchisce, non può che arricchirsi – l’accumulo, di esperienze (memoria),
arti,segni, è fondamento della psiche animale. Ma leggendo testi classici,
appena ottocenteschi, in edizione per le scuole si ha il sospetto di una
sommatoria tra perdite e acquisti non sicuramente positiva, tanto sorprendenti
sono le note esplicative di parole che si penserebbero di uso comune:
magistrale (“da magistrato, giudice che decide, o da maestro, che insegna”),
gioviale (“che respira la gioia di vivere - letteralmente: nato sotto il segno
di Giove, segno di bontà e di gaiezza”), scale degradate (“rovinate,
demolite”), incantevole (“che trasporta l’anima”), fittizia (“artificiale, finta”),
gutturale (“che viene dalla gola, rauco”), l’apparenza della sensibilità (“che
sembrava esprimere un sentimento”), avversione (“sentimento di repulsione, di
ostilità”), etc. A parte i problemi di cura editoriale (chi non sa “gioviale sa
“i segni”?), c’è una evidente semplificazione dell’espressione. Si può pensare
che il linguaggio – il vocabolario – proceda per ispessimenti e
semplificazioni, riduzioni.
zeulig@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento