Lo stesso Sheehan che di suo non è tenero neanche con l’edizione delle opere di Heidegger. Lamentando in dettaglio una cura editoriale disorganica e “parentale”già nel 1980, in un saggio sulla “New York Review of Books” del 4 dicembre, “Caveat Lector: the new Heidegger”, quando ancora solo una ventina di volumi dell’opera omnia, diretta ancora dallo stesso figlio-non figlio Hermann, erano apparsi. Un’edizione non critica, lamentava il filosofo americano, più che altro mirata al mercato. Come ultimamente si vede con la pubblicazione a sorpresa dei Quaderni Neri, i quaderni di appunti di Heidegger, più che altro mirati al succes de scandale. Come già con le lettere alla moglie, dai letti delle varie nobildonne con le quali celebrava le vacanze, anche di Natale. Un’edizione passata attraverso vari curatori, ma tutti più o meno occasionali.
Contro Faye, però, Sheehan sembra non avere dubbi: ha infangato Heidegger e tutta la filosofia. Solo che comincia col dire: “Quest’uomo, il più grande filosofo del Novecento, fu un imperturbabile antisemita. Fu anche un tenace sostenitore di Hitler e dei nazisti dal 1930 almeno fino al 1934, e un convinto fascista anche molto tempo dopo aver preso le distanze dal partito nazista. In particolare, i Quaderni Neri rivelano che Heidegger cercò di lavare e stirare il proprio antisemitismo attraverso la propria idiosincratica storia dell essere, la sua devolutiva narrazione sulla civiltà occidentale che si conclude con l’affermazione che la macchinazione, la terribile condizione del mondo attuale, sia ampiamente rappresentata dall’ebraismo mondiale”.
Non tutto Heidegger, continua a ragionare Sheehan, evidentemente è peste: “Il problema diventa allora come leggere la filosofia prodotta da Heidegger in più di sessant anni, dal 1912 al 1976. C’è qualcosa nei 102 volumi della sua Gesamtausgabe che non sia contaminato dall’antisemitismo o dal nazismo?” Sheehan vuole salvare “Essere e tempo”, che ha molto commentato, e molto insegnato, ogni paio d’anni, ai suoi corsi. Bene, ma non ha finito: “Osserviamo come Heidegger nei tardi anni Trenta abbia esplicitamente legato la sua precedente opzione per i nazisti alla sua teoria della storia: «Pensando in modo puramente metafisico (cioè in termini di storia dell essere), ho considerato il nazionalsocialismo negli anni dal 1930 al 1934 come la possibilità di transizione a un altro inizio, e questa è l’interpretazione che ne ho dato»”. Peggio ancora alla frase successiva: “Nello stesso senso Karl Löwith riferisce che Heidegger in una conversazione privata nel 1936 gli disse che la sua opzione per i nazisti era nata dalla sua dottrina della storicità (Geschichtlichkeit) formulata nel § 74 di «Essere e tempo». E nel 1947 Heidegger (parlando di sé in terza persona) affermò che egli aderiva esattamente a ciò che aveva scritto in «Essere e e tempo» quando nel 1933 aveva tentato di cogliere immediatamente un momento storico come una possibile occasione di una presa di coscienza complessiva dell’Occidente”.
Di che stiamo parlando, allora, Faye o non Faye? Che il nazismo, forse, non è morto. Non con Hitler, che forse non ne fu buona incarnazione?
Il nazismo? Certo, absit iniuria verbis. Anche come movimento storico è liquidabile: fu solo vergogna - e poi non si autodistrusse? Ma Heidegger?
La sacralità forse non giova a
Heidegger, un contemporaneo di cui tutto si sa, e più di tutto. Anche per opera
sua: uno che si protestava montanaro e semplice, ma era un piccolo borghese in
cerca d’avventura. Un traffichino. Un professore che si faceva le allieve. Un
professore d’università.
In una lettera a Karl Löwith, uno dei primi allievi e quello che più apprezzava, il 19 agosto 1921, Heidegger scherza “non sono un filosofo”, a fronte di Nietzsche, Kierkegaard e Scheler. Per concludere serio di considerarsi “un Cristiano teo-logico!” E cioè, spiega, qualcuno che lavora filosoficamente su temi cristiani tipo l’epistola di san Paolo ai Tessalonicesi.
C’è molto da rivedere su Heidegger.
Thomas Sheehan, Emmanuel Faye: l’introduzione della frode nella filosofia, academia, pp. 34, free online
In una lettera a Karl Löwith, uno dei primi allievi e quello che più apprezzava, il 19 agosto 1921, Heidegger scherza “non sono un filosofo”, a fronte di Nietzsche, Kierkegaard e Scheler. Per concludere serio di considerarsi “un Cristiano teo-logico!” E cioè, spiega, qualcuno che lavora filosoficamente su temi cristiani tipo l’epistola di san Paolo ai Tessalonicesi.
C’è molto da rivedere su Heidegger.
Thomas Sheehan, Emmanuel Faye: l’introduzione della frode nella filosofia, academia, pp. 34, free online
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