lunedì 9 settembre 2019

Come nacque Bukowski


Bukowski poeta underground, impiegato alle Poste, scommettitore quasi professionale agli ippodromi, bevitore incontinente, di un six-pack di birre a notte, grandi, più liquori di ogni tipo, scannatore anche incontinente, di conviventi e occasionali,  giovani e meno giovani, purché prosperose, ce lo racconta. Perché una mattina si sveglia e cambia vita: “Alla mattina era mattina e io ero ancora vivo.
Magari scrivo un romanzo, pensai.
E lo scrissi”.
Siam a Los Angeles. Ci sono stati i Watts Riots dei quartieri neri della città, finiti sotto coprifuoco, di barricate, fuochi, devastazioni, ruberie, decine di morti, e Chimaski-Bukowski niente. C’è stato l 1968, che in California fu il 1967, e lui niente. Il 12 marzo 1969 si dimette. Per un po’ non sa che fare, dopo “sette o otto feste selvage”, tra medici stregoni e bei figli dei fiori, dino al risveglio. Il romanzo è in libreria subito dopo, nel 1971.
 Questo primo Bukowski è già quello che diventerà, ma ancora in tono minore: un racconto di coppie, anche matrimoniali, e sbattimenti casuali, di sbronze, scommesse, multe a iosa, arresti perfino, per ubriachezza molesta, e soperchierie al lavoro, a Los Angeles, una disperazione la città dispersiva, da postino prima e poi da addetto allo smistamento. Un maledettismo da liceali, teen-ager. Che palle! penserà il lettore del Bukowski trasgressivo, ma è quello che il Bukowski vero ha fatto, per quindici anni, a due riprese, fino a che ne ebbe cinquanta. Scriveva poesie, in numero incalcolabile, e racconti, per le rivistine underground, per lo più al ciclostilo. Poi puntò al romanzo: questo.
Un’autobiografia senza fiocchi, pedestre - realista. Il suo alter ego, Hank Chivaski, fa quello che Bukowski ha fatto. Beve, ogni notte, scommette, e scopa, anche controvoglia – “Dio o chi per lui continua a creare donne, e le getta così per strada”.Si sposa con una bella ragazza texana, che liquida come riccastra – era una poetessa folk. Fa una figlia con una hippie pacifista, grigia e vecchia, di spirito, che se ne va con la figlia in una comune. Seppellisce con lacrime vere la compagna di letto “Betty”, scoppiata coi liquori forti. Fa il postino e l’addetto alla raccolta, poi l’addetto allo smistamento. Riceve in continuo ammonizioni scritte, sia il sovrintendente italian, o nero, o latino, o wasp. Ma si legge d’un fiato: non s’immaginerebbe  che la vita alle Poste sia così attraente.
Il maledettismo, il genere su cui Bukowski narratore ha puntato, è in America farfallone e mai disperato – già nei beatnick, a ripensarci, Ginsberg, Kerouac. Climaski-Bukowski è uno che alle corse vince sempre – non sempre, tre puntate su cinque, due, ma non ce lo fa pesare. Si diverte malgrado tutto, anche l’ulcera e il rischio di cirrosi, e diverte. Oppure si può mettere così: le letlere americane, ormai forti in ogni genere, erano deboli nel maladettismo, giusto un po’ di Henry Miller, atteggiato, gli hippies erano anche loro figli d mamma, malgrado le droghe e il pansessualismo, e Bukowski ha aperto la strada.
Charles Bukowski, Post Office, Tea, remainders, pp. € 3,75

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