All’origine dell’“effetto
Diderot”, questi “Rimpianti sopra la mia vecchia vestaglia” sono una lunga
lettera a Caterina II di Russia - un
invio a pagamento, per giustificare la pensione di cui la zarina lo gratificava
– estratta dal “salon”, la cronaca dell’esposizione che ogni due anni si teneva al
Louvre sulla nuova produzione artistica, del 1767. In lode di Vernet, il
pittore delle marine. Toglietemi pure tutto, dice e ripete Diderot, serio e
faceto, ma non la marina di Vernet. Finita la lettura non resta nulla, eccetto
appunto il cosiddetto “effetto” che ne ha derivato la psicologia sociale.
I “Rimpianti” sono qui
assortiti da un lunghissimo panegirico del pittore, ottanta delle novanta
pagine del libro, parte del “salon” successivo, del 1769: Vernet è pietra di
paragone del bello. Su cui però Diderot non ha idee precise. Il bello è
imitazione della natura. O, con con qualche ironia, una “creazione”: l’arte è
rappresentazione o ri-creazione del mondo, la concorrenza che l’uomo fa a Dio,
anche se con mezzi limitati. Ma di un bello che si direbbe brutto: è il disordine, il tenebroso, il terrore - il crimine è per questo aspetto migliore della virtù, ci emoziona di più, come il toro del bue.
Filosofo insomma anche qui
per modo di dire: Diderot pensatore argomenta in forma di conversazione, alla
maniera di Platone ma senza impegno, e anzi con distacco - ironia, ambiguità,
sorriso. Con la scrittura vagante caratteristica, frammentata: incontri,
associazioni di idee, mistificazioni, demistificazioni, molto spazio hanno anche i sogni, palesemente artefatti, e vcommenti a cascata, Un
esercizio che si vorrebbe pedagogico del senso critico del lettore – ammesso
che questi non si si smarrisca, se è partito dall’autorità dell’autore.
Nella prima, breve e più “classica”,
conosciuta, memoria Diderot, 56 anni, si rappresenta nel suo studio, al quarto
piano della rue Tarante, recente assertore della musica italiana contro quella
francese, oltre che autore-editore della “Encyclopédie”. La seconda è una
fuga dal Louvre, dove i “salons” si tenevano ad agosto. Diderot si racconta con
Vernet al mare, in un castello tra le montagne in riva al mare. Che si vuole
simbolico, ironicamente, autoironicamente, della “società illuminista” - dei
“belli-e-buoni” del regno. Dove si discute sempre del bello.
I due scritti si rileggono
come esemplari delle divagazioni che sono la letteratura di Diderot. A calco
della natura, in evoluzione istante per istante, di forme, colori, ombre,
tonalità. Un narrazione-discorso, metamorfica. Si parla di tutto: il gusto, il
linguaggio, la fede, le leggi naturali e le leggi artificiali, la forza d’animo
e la pusillanimità, la ragione e l’effusione, il “lusso” distruttore (qui
contro il filone libertino, che il lusso invece vuole moltiplicatore di ricchezza),
e contro il finalismo, un senso qualunque della vita. Non mancano la
navigazione, le esecuzioni pubbliche – esemplari – e ogni altro pensiero che
viene alla testa: la controversia tra gli Antichi e i Moderni, i sogni,
l’apprendistato, la donna, giovane e vecchia, il desiderio, il dovere,
l’amicizia, l’amore…
Due scritti che si vogliono
“classici” ma di tonalità burlesca, al modo della trattazioni rinascimentali,
all’italiana. In dialoghi immaginari, ora col solito abate, saggio e bigotto,
ora qui anche con Melchiorre Grimm, l’editore che diffondeva Diderot e altri
illuministi attraverso l’Europa, con la “Corrispondenza letteraria” che
inviava, manoscritta, in ricco abbonamento a una ventina di principi illustri
in Europa. Curiosi i molti riferimenti alla Bibbia, di uno scrittore che si proclamava ateo, forse ripresi dallo pseudo-Longino del trattato sul sublime, a cui Diderot si rifà, oppure dal collegio dei Gesuiti che aveva frequentato da ragazzo.
Effetto Diderot è detto
l’improvvisa obsolescenza degli oggetti d’uso, specie d’abbigliamento, a cui
magari eravamo affezionatissimi, che quando compriamo qualcosa di nuovo ci cade
dal cuore e vogliamo al più presto buttare. Quando madame Geofrin gli regala
una sontuosa vestaglia scarlatta, Diderot non solo si disfa – si deve disfare –
della vecchia vestaglia sua fedele ancella, ma scopre che ora è in animo a mano
a mano di cambiare molti altri oggetti, cui pure era affenzionato fino a un
momento prima del regalo – “Ero il padrone assoluto della mia vecchia vestaglia.
E ora sono diventato lo schiavo della nuova”.
Una filosofia? Poi verrà
Fromm, e sapremo che l’avere è essere, o viceversa. Ma forse solo da qualche
tempo, da quando c’è il cosiddetto consumismo – da quando si fa il mercato, ormai
da qualche millennio.
Diderot, Regrets sur ma vieille robe de chambre, suivi de la Promenade Vernet,
Livre de Poche, pp. 96 € 2
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