giovedì 12 settembre 2019

Effetto Diderot

All’origine dell’“effetto Diderot”, questi “Rimpianti sopra la mia vecchia vestaglia” sono una lunga lettera a Caterina II  di Russia - un invio a pagamento, per giustificare la pensione di cui la zarina lo gratificava – estratta dal “salon”, la cronaca dell’esposizione che ogni due anni si teneva al Louvre sulla nuova produzione artistica, del 1767. In lode di Vernet, il pittore delle marine. Toglietemi pure tutto, dice e ripete Diderot, serio e faceto, ma non la marina di Vernet. Finita la lettura non resta nulla, eccetto appunto il cosiddetto “effetto” che ne ha derivato la psicologia sociale.
I “Rimpianti” sono qui assortiti da un lunghissimo panegirico del pittore, ottanta delle novanta pagine del libro, parte del “salon” successivo, del 1769: Vernet è pietra di paragone del bello. Su cui però Diderot non ha idee precise. Il bello è imitazione della natura. O, con con qualche ironia, una “creazione”: l’arte è rappresentazione o ri-creazione del mondo, la concorrenza che l’uomo fa a Dio, anche se con mezzi limitati. Ma di un bello che si direbbe brutto: è il disordine, il tenebroso, il terrore - il crimine è per questo aspetto migliore della virtù, ci emoziona di più, come il toro del bue.
Filosofo insomma anche qui per modo di dire: Diderot pensatore argomenta in forma di conversazione, alla maniera di Platone ma senza impegno, e anzi con distacco - ironia, ambiguità, sorriso. Con la scrittura vagante caratteristica, frammentata: incontri, associazioni di idee, mistificazioni, demistificazioni, molto spazio hanno anche i sogni, palesemente artefatti, e vcommenti a cascata, Un esercizio che si vorrebbe pedagogico del senso critico del lettore – ammesso che questi non si si smarrisca, se è partito dall’autorità dell’autore.
Nella prima, breve e più “classica”, conosciuta, memoria Diderot, 56 anni, si rappresenta nel suo studio, al quarto piano della rue Tarante, recente assertore della musica italiana contro quella francese, oltre che autore-editore della “Encyclopédie”. La seconda è una fuga dal Louvre, dove i “salons” si tenevano ad agosto. Diderot si racconta con Vernet al mare, in un castello tra le montagne in riva al mare. Che si vuole simbolico, ironicamente, autoironicamente, della “società illuminista” - dei “belli-e-buoni” del regno. Dove si discute sempre del bello.
I due scritti si rileggono come esemplari delle divagazioni che sono la letteratura di Diderot. A calco della natura, in evoluzione istante per istante, di forme, colori, ombre, tonalità. Un narrazione-discorso, metamorfica. Si parla di tutto: il gusto, il linguaggio, la fede, le leggi naturali e le leggi artificiali, la forza d’animo e la pusillanimità, la ragione e l’effusione, il “lusso” distruttore (qui contro il filone libertino, che il lusso invece vuole moltiplicatore di ricchezza), e contro il finalismo, un senso qualunque della vita. Non mancano la navigazione, le esecuzioni pubbliche – esemplari – e ogni altro pensiero che viene alla testa: la controversia tra gli Antichi e i Moderni, i sogni, l’apprendistato, la donna, giovane e vecchia, il desiderio, il dovere, l’amicizia, l’amore…
Due scritti che si vogliono “classici” ma di tonalità burlesca, al modo della trattazioni rinascimentali, all’italiana. In dialoghi immaginari, ora col solito abate, saggio e bigotto, ora qui anche con Melchiorre Grimm, l’editore che diffondeva Diderot e altri illuministi attraverso l’Europa, con la “Corrispondenza letteraria” che inviava, manoscritta, in ricco abbonamento a una ventina di principi illustri in Europa. Curiosi i molti riferimenti alla Bibbia, di uno scrittore che si proclamava ateo, forse ripresi dallo pseudo-Longino del trattato sul sublime, a cui Diderot si rifà, oppure dal collegio dei Gesuiti che aveva frequentato da ragazzo. 
Effetto Diderot è detto l’improvvisa obsolescenza degli oggetti d’uso, specie d’abbigliamento, a cui magari eravamo affezionatissimi, che quando compriamo qualcosa di nuovo ci cade dal cuore e vogliamo al più presto buttare. Quando madame Geofrin gli regala una sontuosa vestaglia scarlatta, Diderot non solo si disfa – si deve disfare – della vecchia vestaglia sua fedele ancella, ma scopre che ora è in animo a mano a mano di cambiare molti altri oggetti, cui pure era affenzionato fino a un momento prima del regalo – “Ero il padrone assoluto della mia vecchia vestaglia. E ora sono diventato lo schiavo della nuova”.
Una filosofia? Poi verrà Fromm, e sapremo che l’avere è essere, o viceversa. Ma forse solo da qualche tempo, da quando c’è il cosiddetto consumismo – da quando si fa il mercato, ormai da qualche millennio.
Diderot, Regrets sur ma vieille robe de chambre, suivi de la Promenade Vernet, Livre de Poche, pp. 96 € 2

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