Si mangia, si beve, e si racconta.
Di rapine, furti, omicidi e ogni altro crimine, normale amministrazione. Ma
spesso anche senza, senza il delitto. Per bocca di un maresciallo dei
Carabinieri che è “un Esopo in divisa” (Carlo della Corte). Cui lo scrittore
funge da dr. Watson o Hastings, il testimone che racconta. Racconti poco
gialli, più che altro di venature “soldatesche”: il cibo, tradizionale,
dettagliato nelle varianti, i vini, l’aria, qui piemontese e padana. Il brutto
ammodernamento dei paesi, che perdono l’anima. Con le moralità per cui Soldati è
esemplare, un po’ per l’educazione gesuita e un po’ per temperamento – un po’
giansenista: il male è inevitabile. Il
tutto nel tempo. Rivoluzionario ma senza i moralismi politici di prammatica -
le giaculatorie politicamente corrette ora in uso, del Camilleri per esempio. Il
neocapitalismo anni 1960 è un “feudalesimo industriale” – per cui “che
differenza c’è ancora fra borghese e proletario”? Le opere pubbliche si fanno,
e rapidamente, il raddoppio dell’autostrada Milano-Torino in un anno e mezzo,
meno, meno del termine contrattuale, ma perché si costruisce tanto?
E futuribile, senza eccessi
fantastici, piano, perché storico, logico: “Si uscirà da questo feudalesimo, è
inevitabile”, nel 1967, data dei primi racconti, o anche prima. “Così come”,
alla stessa data, “si inventerà qualche meccanismo elettronico, qualche
diavoleria che impedisca alle auto di urtarsi tra di loro o contro un
ostacolo”. Un ritratto di Soldati, scrittore piano ma umorale. Perfino
cronista: “Il caso Imbert”, che chiude la raccolta, spiega i sequestri di persona
come nessuna cronaca di giornale ha mai fatto.
La prima serie è di racconti gialli
ma dalla suspense minima, non più di
un racconto d’amore o di avventura, o di cronaca nera sul giornale. Di fatti
cioè circoscritti, di cui si dà alla pagina seguente la soluzione, non per
esercitare il lettore al mistero. Racconti di varia umanità, un po’ fuori
dall’Italia che si ammodernava, correndo veloce, e già si perdeva, tra luci al
neon, vini senza carattere, cibi senza sapore. Svelti, brevi: prende il ritmo,
non la storia in sé. Tutti delineano personaggi e mondi specifici, ma finiscono
presto, troppo. La suspense del giallo non tollera il respiro corto –
forse dell’elzeviro, il racconto di “apertura” della vecchia “terza pagina” dei
giornali, per la quale Soldati può averli concepiti, se non pubblicati
(risultano pubblicati solo in volume). Racconti che si sgranocchiano, come
s’immagina che si svolgano i pranzi e le cene tra lo scrittore e il
Maresciallo, non da mangioni ingordi, ma lenti, gustando il boccone.
Letti ora, sono sorprendentemente
racconti seminali, non solo per l’auto che si guida da sola. Di future grandi
serie di gialli, per ingredienti apparenti: l’uso colloquiale del dialetto
(Camilleri), la provincia caratterizzata, molto (un po’ tutti i giallisti
italiani, milanesi, toscani, romani, siciliani), fino alla macchietta, qui il
Piemonte e la Valpadana, il cibo e le tavolate semplici (Vázquez Montalbán).
Di tutt’altro taglio la
seconda serie, i “Nuovi racconti del Maresciallo”. Pensati e scritti per una
serie tv, quindi con la “struttura «chiusa» del giallo – chi è il colpevole?
Cinque racconti lunghi, che sfidano il lettore. È come dice lo stesso Soldati,
in due paginette di presentazione, riferendosi a Garboli, che dei primi
racconti aveva osservato: strano, nei romanzi e nei racconti di Soldati c’è
sempre “un processo narrativo vagamente poliziesco, ma non qui dove invece uno
se lo sarebbe aspettato, nei “Racconti del Maresciallo”. È vero, concorda
Soldati: “Il mio investigatore con le stellette era sempre stato, più che
altro, pretesto” per divagazioni, su personaggi, paesaggi, ricordi, momenti
lirici.
Mario Soldati, Tutti i racconti del Maresciallo,
Oscar, pp. 320 € 14
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