Autunno caldo – Non se ne celebra il mezzo secolo, perché non era quello che
diceva? Una serie continua di scioperi, fermata dalla destra con la strage di
Piazza Fontana, col concorso dello Stato (le indagini distorte sulla strage,
indirizzate su presunti anarchici, sono partite dalla questura di Milano), che
irrigidì le relazioni sindacali, e presto dissolse le scarse conquiste
salariali nell’inflazione. Si scioperava in continuo. Anche con scioperi
generali, che agitarono fino a venti motivi di protesta, dalla bolletta
gratuita alla promozione obbligata a scuola – la voce s’era diffusa che a Mosca
non pagavano il gas, l’elettricità e il telefono.
Fu
un movimento politico, attraverso cui il Pci e la Cgil tentarono di assorbire
l’onda d’urto della contestazione giovanile e prendere la leadership della
politica in Parlamento e del sindacato al lavoro. In questo ebbe successo. Ma
col segno meno per i lavoratori e per la dialettica politica. L’autunno caldo segnò la fine del
centro-sinistra storico, tra Dc e Psi, la stagione più riformatrice della storia
repubblicana, benché fosse durata un lustro o poco più. Aprì la voragine della
spesa pubblica – la sola spesa pensionistica fu aggravata di 60 mila miliardi
di lire, l’anno. E si dette la stura all’inflazione che dominerà gli anni 1970.
Dell’inflazione sono vittime come si sa i lavoratori, le retribuzioni fisse.
Mentre una volta dominanti Cgil e Pci introdussero una lunga stagione di
rinnovi contrattuali con coperture minime, di poche migliaia di lire – i
giornalisti fecero tre contratti di seguito, nove anni, con aumenti di 25 mila
lire, mentre l’inflazione navigava al 20 per cento (il Pci doveva conquistarsi
i media, i padroni che biasimava).
L’esito
immediato fu un linguaggio sindacale irrilevante, perfino ridicolo. Bussolotti
se ne fecero come gadget in libreria
per complicare con la frasi fatte senza senso del gergo sindacale discorsi
insensati.
Groenlandia – Se diventasse americana, come uno dei
tweet di Trump vorrebbe, introdurrebbe il socialismo negli Stati Uniti.
L’“isola” che Trump vuole acquistare è un continente, 2,2
milioni di km. quadrati – più della metà dell’Unione Europea, senza la Gran Bretagna. Poco abitata, 57 mila residenti. E inclemente: il sole d’inverno non sorge
e d’estate non tramonta, con gelo o
mosche, e gli altri inconvenienti dei climi estremi. Per quattro quinti coperta
peraltro da ghiacci perenni. Ma ricca di risorse minerarie, tra cui il 13 per
cento delle riserve mondiali di petrolio e il 30 per cento del gas. Probabilmente
ricchissima di risorse minerarie, tanto più se l’effetto serra ne provocherà
il disgelo. Ma è socialista. La sola entità socialista in Europa, e
probabilmente al mondo. Non c’è in Groenlandia la proprietà privata. La terra è
gestita da cinque kommunes – comuni,
entità amministrative, ma con un sentito richiamo alla Comune socialista. Non
ci si appropria della terra dove si vive e si lavora, e non si paga neanche un
affitto. Le grandi imprese, commerciali, industriali (pesca, concia,
trasporti), sono statali. Non c’è la sanità privata. Dagli ospedali alle cure
mediche e alle medicine, tutto è gratuito. Non c’è naturalmente la scuola
privata.
Tutto è pubblico e non può essere privatizzato, per gli
statuti consuetudinari che la Groenlandia si è dati, riconosciuti dalla
Danimarca, che anzi li finanzia. La Danimarca contribuisce al socialismo della
Groenlandia con circa 600 milioni di dollari l’anno – circa 10.500 per
residente.
Il contributo statale non sarebbe un impedimento
all’americanizzazione della Groenlandia. Negli Stati Uniti, anche oggi con
Trump, ogni anno il Congresso destina un media di 12 miliardi di dollari in
contributi a ognuno dei 50 Stati federali – che per uno Stato poco popolato
come il Nuovo Messico significano 9.700 dollari pro capite, poco meno di quanto
la Danimarca spende per ogni groenlandese.
Lsd – Che la
Cia abbia manipolato l’Lsd negli anni 1950 per condizionare le menti è
difficile crederlo. Con test su detenuti, spie e psicopatici. Condotti da Sidney
Gottlieb, un chimico che si professava ebreo agnostico e poi buddista zen, come
dire un addict lui stesso. Di cui al
libro di un giornalista, Stephen Kinzer, “Poisoner in Chief”. Con esperimenti
soprattutto in Germania e Giappone, in centri di detenzione controllati dalle
truppe americane di occupazione, e nelle Filippine. Tutto fantasioso. Drogati per
misurare fino a che punto arriva la resistenza mentale, la resistenza umana. Quindi una forma di tortura?
Che
la Sandoz e i Beatles si siano accodati a un programma spionistico, altro che
liberazione delle menti, anche questo è poco probabile. Anche perché l’Lsd è
stata “inventata” – sintetizzata - dal professor Albert Hofmann, chimico svizzero,
per conto della Sandoz. Questo è avvenuto, è storia. Ma a fini terapeutici.
Di Hofmann si sa che faceva assaggi con Jünger,
il chimico delle passioni, che viveva allora a Wilflingen nell’Alta Svevia ospite degli
Stauffenberg – ne ha scritto lo stesso Jünger. In un quadro di ricerche sulle droghe patrocinate
dall’industria elvetica, che aveva già esplorato gli sciamani e i funghi di
Castaneda, al fine di creare sostanze per la mutazione delle coscienze sul
modello di Eleusi, dove il fluido iniziatico si estraeva dalla segale cornuta,
ed è nato l’Lsd. La Sandoz sostenne pure Michaux, il poeta belga. Se n’èra anche fatto
un libro, in cui il dottor Hofmann si presentava convinto, non si nascondeva, tecnico, impegnato al
bene dell’umanità.
Lsd, il nome si fa venire dalla canzone dei Beatles Lucy in the Sky with Diamonds, mentre il
contrario è vero – senza spese per la Sandoz?
Resistenza tedesca (Widerstrand) – Helena Janeczek, “La ragazza con la Leica”, da ultimo la immiserisce,
a proposito di un oppositore emigrato in America: “Se parlavi di resistenza
tedesca ti associavano, bene che andasse, al gruppetto di aristocratici ufficiali
che avevano tentato di far saltare in aria il Führer per patriottismo, e non prima
del 20 luglio 1944”. Mentre il gruppetto era vasto, la reazione di Hitler dopo il 20 luglio fece
circa diecimila vittime, fucilate o impiccate. In totale, 16.560 condanne
a morte di oppositori politici sono state registrate nel dodicennio, E la Resistenza fu costante, non dell’ultima ora. Di molte personalità:
intellettuali (economisti, scrittori, artisti), religiosi (molti vescovi),
aristocratici. E di vasti ceti popolari. All’interno della destra: Hitler
eliminò, anche fisicamente, migliaia di camerati. E più all’esterno: socialisti,
comunisti, anarchici, molti cattolici. Organizzata anche, seppure solo politicamente.
La più vasta, qualificata, determinata. Fin
dall’inizio e contro ogni blandizie. Specie al confronto con l’Italia
per tutti i venti anni del fascismo. Il “Lungo viaggio” di Zangrandi e “La coda
di paglia” di Piovene documentano un generale accomodamento. E con la Parigi
negli anni dell’occupazione, che d’intellettuali pullulava.
Almeno
centomila si ribellarono a Hitler in guerra, non tutti renitenti, una buona
metà si batté con la Resistenza in Grecia e Jugoslavia, qualcuno all’Est. E
c’erano, ancora in guerra, diecimila obiettori di coscienza. Addetti ai lavori
manuali, ma nutriti adeguatamente e liberi in caserma.
In
Italia non si può dire, ma la presenza tedesca nella Resistenza “ha raggiunto
dimensioni ragguardevoli”, dice lo storico Battaglia: “In tutte le regioni del
Nord, senza eccezioni, è dimostrata la presenza di tedeschi nelle principali
formazioni partigiane” - lo disse quarant’ani fa, in tedesco, in convegno, a
Vienna. A Civitella d’Arezzo, tristemente nota per le rappresaglie naziste, la
polizia tedesca ha contato 721 diserzioni nel solo luglio ‘44.
I campi di concentramento furono aperti
contro l’opposizione politica, poche settimane dopo l’accesso di Hitler al
cancellierato. Alla vigilia della guerra c’erano in Germania sei campi di
concentramento, con ventunmila tedeschi prigionieri politici - nel 1944 si
contarono 1006, in Germania e nei paesi occupati, Per le popolazioni occupate,
gli ebrei, gli omosessuali e i gitani, e per i tedeschi.
Non si celebra in Germania la Resistenza,
nemmeno come Liberazione da Hitler. Non l’ha istituita la Repubblica Federale
di Bonn, e nemmeno la Repubblica Democratica di Pankow. Che pure aveva accolto
i tedeschi comunisti sopravvissuti al nazismo, ma non li onorava. L’idea di
Resistenza in Germania, seppure dei molti, sconfina con la paranoia della “pugnalata
alla schiena”, l’ossessione dei vinti: la Germania non può perdere, ha perso perché
è stata tradita. Meglio dirsi traditori che accettare la sconfitta? È così
Il
diritto alla Resistenza è stato però in Germania ampiamente teorizzato, in
chiave nazionalista, e in passato anche codificato. Teorizzato da Jünger (“Teoria del partigiano”) e Carl Schmitt, i
pensatori della destra conservatrice. Schmitt anche teorico, non critico, del
nazismo nel 1933, con un’opera che fu ristampata più volte fino alla (relativa)
disgrazia nel 1935, “Stato, Movimento, Popolo. Le tre membra dell’unità
politica”, pubblicato in Italia nel 1935 da Gentile nella raccolta intitolata
“Principii politici del nazionalsocialismo”.
Schmitt si rifà al sorprendente Editto prussiano sulla milizia territoriale o Landsturm, “recepito
quale legge dall’ordinamento interno, con tanto di firma del primo ministro”,
del 1812-13, della terra bruciata attorno a Napoleone: “Ogni cittadino ha il
dovere di opporsi al nemico invasore con qualsiasi tipo di arma.[...] Scuri,
forconi, falci e lupare vengono espressamente raccomandati.[...] Ogni prussiano
ha il dovere di non obbedire ad alcun ordine del nemico, bensì di danneggiarlo
con ogni mezzo possibile. Anche se il nemico volesse ristabilire l'ordine
pubblico, nessuno è autorizzato a obbedirgli, perché così facendo si finirebbe
per facilitarne le operazioni militari.[...] Gli eccessi di una canaglia
sfrenata sono meno nocivi di un nemico nelle condizioni di poter disporre
liberamente di tutte le proprie truppe.[...]Rappresaglie e azioni terroristiche
a protezione dei partigiani sono garantite e promesse al nemico”. Ma
l’Editto prussiano inquadra in un excursus di tutta la storia nota, compresa
Giovanna d’Arco e fino a Mao – e Raoul Salan. Recuperando al concetto di
Resistenza la guerra classica di von Clausewitz, in una concezione aggiornata
del suo “politico”.
astolfo@antiit.eu
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