sabato 28 settembre 2019

Il mondo com'è (383)

astolfo


Dreyfus – Un caso di antisemitismo che fu probabilmente anche un copertura dei servizi segreti francesi. Un caso di depistaggio, come occorrerà in Italia per piazza Fontana e dopo. “Probabilmente” perché i servizi segreti non lasciano documentazione. 
La “spia tedesca” non era Dreyfus ma un falso conte Esterhazy, Charles Marie Ferdinand Walsin. Figlio di un generale dell’esercito francese, Walsin aveva fatto carriera nell’esercito, benché (perché) scioperato e senza studi né accademie militari, con grado di maggiore, nel controspionaggio. Parlava tedesco, e questo era il suo unico titolo. Per teutonizzarsi meglio, Ferdinand si era anche dato il cognome Esterhazy, perché suo nonno paterno vantava di essere figlio naturale di una contessa Esterhazy. E col nome si era dato anche il titolo di conte. 
Il capro espiatorio Dreyfus non lo coprì del tutto. Walsin dovette essere riconosciuto “spia tedesca” quando il capitano Dreyfus fu riconosciuto innocente. Ma non fu condannato e nemmeno licenziato. Si dimise, ebbe la pensione, e si trasferì in Inghilterra. Dove incrementò la pensione con scritti antisemiti.
La probabilità è che Walsin facesse il doppio gioco, passando ai tedeschi informazioni false.
Lo scandalo era nato per il ritrovamento, da parte della donna delle pulizie nell’ambasciata tedesca, una francese, spia, in un cestino della carta straccia, di un biglietto a firma D. in cui qualcuno comunicava ai tedeschi informazioni riservate dello Stato maggiore francese. Successivamente, caduta la condanna di Dreyfus, si disse che quelle informazioni erano false. Walsin dovrebbe essere stato dunque un agente triplo.

Enciclopedia- Il progetto di “Encyclopédie” fu inizialmente affidato, nel 1745, dai librai parigini editori del progetto, a un abate, Jean-Paul de Mua de Malves. Diderot e D’Alembet subentrarono presto, nel 1747, come scrisse Diderot, perché l’abate non aveva senso del’economia.
Il “vecchio abate” lo dice Diderot, anche se era più vecchio di lui d un solo anno. Secondo Condorcet, che ne ha scritto un dettagliato elogio, era stato lo stesso abate ad arruolare Diderot al progetto di “Encyclopédie”. Ma questo forse è più vero di Jean Le Rond D’Alembert, che insieme con l’abate figura nel ruolino di paga degli editori a fine 1746.
Nato a Carcassonne, da nobile famiglia (Jean de Mua barone di Malbes e Jeanne de Harrughe), Jean-Paul de Mua si fece abate presto, quale via d’uscita al fallimento del padre nelle sue tante attività – la psicologia paterna ne influenzerà però anche l’attività. Fu presto anche un matematico famoso. Accolto a trent’anni, nel 1741, Académie des Sciences, e Fellow della Royal Society a Londra dal 1743, per lo studio della teorie delle curve algebriche, intitolato “Usages de l’Analyse de Descartes”pubblicato nel 1740. E poi per una seconda memoria, sulla Teoria delle equazioni. Crescendo di ruolo per questo in seno all’Accademia. Era versato anche in campo filosofico, noto per avere tradotto Berkeley – seppure solo per soldi.
Scelta naturale dei librai parigini che avevano acquisito l’opzione per tradurre la “Cyclopedia” di Chalmers, “Or Universal Dictionary of Arts and Sciences”, quella di rivolgersi a lui per la supervisione. La cosa non fu semplice, dice Condorcet, che gli ha dedicato un lunghissimo “elogio”, perché l’abate aveva idee sue. Alla fine il progetto partì senza d lui. Ma secondo il modello da lui ideato. Non più una traduzione, ma un’opera nuova, e più vasta: “Invece di un dizionario elementare delle parti della scienza più conosciute, più usuali…. la riunione, in un deposito comune, di tutto ciò che formava allora l’insieme delle conoscenze”. Non è stato il solo suo merito, continua Condorcet: “Aveva saputo inoltre interessare al successo di quest’opera e impegnare a concorrervi parecchi uomini celebri nelle scienze e nelle lettere, Fouchy, Le Roi, Daubenton, Louis, Condillac, Mably, e soprattutto D’Alembert e Diderot, che doveva succedergli alla testa del progetto”.
Uscito dall’“Enciclopedia”, il giovane abate si perdette in progetti tecnici – e in processi costosi, uno in particolare contro il fratello. Il setacciamento dei fiumi della Linguadoca alla ricerca dell’oro. Un progetto di prestito (debito) pubblico. Un progetto di prestito attraverso le lotterie – “la mania di De Gua per le lotterie”, osserva Condorcet, “era tanto più strana in quanto gli avevano nociuto molto in gioventù”: avendo vinto una piccola somma una volta si era convinto di possederne il segreto. Ma sempre poi realista: “Incapace di mentire, cominciava tutti i suoi scritti sulle lotterie riconoscendo che sono un’imposta mascherata, alla quale si faceva giocare tutta la Francia”. .
A lungo a più riprese progettò una rivista scientifica internazionale interdisciplinare. E indirettamente, per questo progetto, l’Italia entra nella storia di de Gua de Malves in due occasioni. "Da giovane religioso di buona famiglia poteva aspirare alla cariche, ma preferì il cammino della scienza", e per questo motivo, scrive un biografo, “partì per l’Italia. Sapeva che in questo paese nessuna barriera impedisce al merito di aspirare ai primi posti; ma gli mancava quello di cui il merito ha bisogno per innalzarsi, che ci permette di mostrarci agi occhi degli altri, in ogni circostanza, quello che ci è utile fargli vedere. L’abate de Gua ebbe in Italia amici illustri, che però non fecero niente per lui, e ritornò a Parigi”. Forse, arguiscono alcuni biografi, ne riportò gli elementi per gli studi di idrologia che subito dopo pubblicò.
Ci tornò per un progetto di rivista scientifica periodica, che raccogliesse gli esiti delle ricerche in corso nella più diverse discipline, anche in quelle umanistiche. Un progetto che come al solito non seppe realizzare – “progetto eseguito dopo”, registra Condorcet, “benché su un piano meno esteso, in Francia e in Italia”.

Inuit – Si estingueranno per suicidio? Una delle due popolazioni in cui si dividono gli Esquimesi, quella che abita l’Alaska (16 mila), il territorio canadese del Nunavut (28 mila dei 50 mila circa Inuit distribuiti nel Commonwealth), e la Groenlandia (51 mila), ha i più alti tassi di suicidi, di gran lunga più alti, del mondo. Il Nunavut registra un tasso di suicidi di 100 per 100 mila abitanti, dieci volte il tasso di suicidi del resto del Canada. Ma un terzo degli Inuitidel Nunavut si stima abbia tentato il suicidi almeno una volta. In Groenlandia il tasso è di 85 per 100 mila. Il tasso di suicidi più alto, dopo quelli degli Inuiti, si registra in Lituania, col 32 per 100 mila.
La causa, secondo studi canadesi, potrebbe essere l’urbanizzazione forzata, circa sessant’anni fa della popolazione inuit. Prima i suicidi erano molto rari, nemmeno registrati. Nel decennio 1960 un solo suicidio è stato registrato nel Nunavut.Nel 1973 il tasso era salito all’11 per centomila – se ne erano registrati tre o quattro. Nel 1986 era quadruplicato, nel 1997 decuplicato, a 100 per 100 mila, quasi tutti di giovani, tra i quindici e i venticinque anni. Nei primi ani del Millennio il tasso si è moltiplicato a 450 per 100 mila Per poi scendere a 270 per 100 mila.
L’urbanizzazione fu perseguita con durezza: le abitazioni tradizionali venivano distrutte, gli animali domestici uccisi, compresi i cani da slitta, i figli rinchiusi in convitti-rifornatori. tagliati fuori dalle famiglie, rinominati con nomi cristiani e con carte d’identità, puniti se parlavano inuktitut, la loro lingua, impegnati a studiare la storia canadese, molti anche abusati liberamente. A migliaia sono morti di malattie e di fame, a un tasso che è stato rilevato apri a quello dei soldati canadesi morti nella seconda guerra.
Il programma di “rieducazione” ha impegnato negli anni circa 150 mila ragazzi, Inuit o di altre popolazioni aborigene, le cosiddette “First Nations”. Per gli abusi sessuali da loro subiti negli anni 1960-1970 il governo canadese ha riconosciuto tre miliardi di dollari in compensazioni.

Salon – L’istituzione che ha promosso molta letteratura a Parigi, specie di Diderot e Baudelaire, e ha eletto Parigi nell’Ottocento, con coda nel Novecento, capitale mondiale del mercato dell’arte, una lucrosa promozione, risale al 1746. Era una mostra di arte contemporanea, ideata e organizzata dall’Académie royale de peinture et de sculpture, ogni due anni, nel Salone quadrato del Louvre, da cui il nome. Venivano esposte circa trecento opere. Diderot vi si è esercitato a partire dal 1759 fino al 1781. Al Salon del 1767, rimasto notevole tra le sue opere, per spessore di riflessione, lavorò fino al 1768. Baudelaire vi si esercitò dal 1845 al 1859. Diderot “creò” Vernet, Baudelaire Delacroix.

Sioux – Si chiamavano Kota in realtà, divisi in tribù: Dakota, Lakota e Nakota. A loro volta suddivise in gruppi, i Lakota in Oglala e Mnicoujou. 
Toro Seduto era un Oglala Lakota – il capo indiano (“Sioux”) che sbaragliò il generale Custer e il Settimo Cavalleria a Little Bighorn. Sioux, il nome che circolava tra i coloni, potrebbe essere stato derivato da snake, l’inglese per serpente.


astolfo@antiit.eu

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